Supplenza politica targata Bce

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Emergenza Covid 19. Il Pepp è una sigla misteriosa per la maggioranza degli europei. Ma il Pepp (“Programma di acquisto di emergenza pandemica”) è un qualcosa di estremamente concreto: ha permesso di scongiurare il disastro economico dopo quello umano e sanitario del Coronavirus.

Il 19 marzo è un giorno da ricordare. Christine Lagarde, dopo le iniziali esitazioni, annunciò «un’azione straordinaria» per sostenere il reddito delle famiglie, l’economia e l’occupazione di Eurolandia contro il cataclisma del Coronavirus: appunto il Pepp. La presidente della Bce garantì: «Non ci sono limiti al nostro impegno per l’euro».

I 750 miliardi di euro per l’emergenza Covid 19,  da impiegare entro il 2020, hanno permesso di evitare il peggio. La Banca centrale europea ha acquistato a piene mani i titoli del debito pubblico dei vari paesi, in particolare di quelli più deboli e più colpiti dalla pandemia (come Italia, Spagna e Francia), scongiurando il collasso finanziario.

Non è stato facile. Il Consiglio direttivo della Bce ha approvato il piano straordinario di emergenza Covid 19 dopo forti contrasti causati dall’ostilità della Germania e degli altri paesi forti del nord Europa (Olanda, Austria, Finlandia). Sono arrivati ostacoli di tutti i tipi. Perfino la Corte costituzionale tedesca ha contestato la scelta: con una sentenza ha dato tre mesi di tempo alla Bce per motivare la legittimità della decisione.

Christine Lagarde, sulla scia di Mario Draghi, ha confermato più volte la volontà di «fare qualunque cosa sia necessaria» per la salvezza dell’euro.  Ai giudici costituzionali tedeschi ha risposto a botta calda: «Proseguiamo indisturbati». Il 14 maggio il bollettino mensile della Bce ha confermato: «Il Consiglio direttivo ribadisce il massimo impegno a fare tutto ciò che sarà necessario nell’ambito del proprio mandato per sostenere tutti i cittadini dell’area dell’euro». Non solo. Ha anche rilanciato indicando l’intenzione di «incrementare» l’entità degli acquisti e di «adeguarne la composizione, nella misura necessaria». Traduzione: ci potranno essere ancora più aiuti in favore delle nazioni in maggiore difficoltà.

Formalmente la motivazione è tecnica: la Bce agisce nell’ambito del suo mandato in difesa dell’euro e la Corte di giustizia europea già in passato le ha dato ragione, respingendo le critiche della Corte costituzionale tedesca. La Bce tra tre mesi, quando risponderà alla sentenza della Corte di Karlsruhe, probabilmente utilizzerà questa argomentazione e una considerazione sempre tecnica: la Corte di giustizia europea ha la preminenza sui giudizi nazionali e, quindi, anche su quelli dei giudici costituzionali della Repubblica federale tedesca.

Il nocciolo della questione però è politico, non tecnico. Sono i governi di Eurolandia, espressioni dei Parlamenti europei, a dover decidere cosa fare. Tuttavia i contrasti tra gli interessi nazionali in conflitto sono esplosi anche davanti alla catastrofe del Coronavirus (ben 160 mila morti causati in Europa). L’Unione europea si è mossa con gravi ritardi anche sugli interventi di emergenza sanitari ed economici. Ogni nazione finora, praticamente, si è mossa per proprio conto. La solidarietà europea è declamata ma non praticata. Faticano a decollare interventi comuni europei nell’immediato (sanitari, di sostegno all’occupazione e alle imprese) e per il Piano di ricostruzione post pandemia.

Così di fatto la Bce di Christine Lagarde, come nel 2015 la Bce di Mario Draghi (fu lui l’inventore del “quantitative easing”), non svolge solo una funzione tecnica ma anche di supplenza politica.


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