I sei anni senza Andy e quel passo avanti verso verità e giustizia

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Sei anni senza Andy Rocchelli, senza i suoi scatti da scenari di crisi, senza le storie di sofferenze che raccontava con sensibilità e coraggio, senza la sua passione per il mestiere difficile che si era scelto. Sei anni di nostalgia per un giovane pieno di vita, di energia e di talenti, spesi per il suo lavoro e per i suoi affetti. Ci è sembrato spesso che il tempo si sia fermato al pomeriggio del 24 maggio del 2014 e che noi non si potesse più uscire da quel fosso di Sloviansk in Ucraina, dove l’artiglieria pesante ha ucciso Andy insieme al suo amico Andrej Mironov, ferendo gravemente anche William Roguelon.

In questi sei anni abbiamo continuato a conoscere altri contesti  e modalità di violenze contro giornalisti e fotografi, storie di uccisioni, di carceri, di torture e intimidazioni e abbiamo capito che la difesa della loro incolumitàe della loro libertà di espressione è una questione globale e particolare insieme, nella quale si gioca una partita fondamentale per il nostro tempo. Ai giornalisti che vivono sotto scorta, a quanti sono messi a tacere in carcere o recano nel corpo e nello spirito i segni di violenze patite pensiamo oggi e sempre con ammirazione e gratitudine.

In questi sei anni abbiamo conosciuto silenzi ambigui e solidarietàinaspettate, manovre di depistaggio e indagini determinate e efficaci.Abbiamo incontrato indifferenza e mala fede, ma anche impegno senza risparmio di giornalisti e inquirenti, legali e magistrati. Sul caso si è aperto e svolto un processo concluso in primo grado con una sentenza di condanna per concorso in omicidio, una delle poche al mondo per l’uccisione di fotografi inermi. La sentenza ha riconosciuto l’intenzionalità dell’attacco sferrato contro i giornalisti e ha negato l’accidentalità dell’evento.

La vicenda giudiziaria in Italia non è conclusa, ma val la pena di sottolineare che la sentenza ha posto un punto fermo di grande significato giuridico, valevole in un ambito geopolitico più vasto: è stata incrinata a fondo la presunzione di impunità che finora, a latitudini diverse,  ha accompagnato quanti hanno puntato le loro armi su giornalisti inermi.  E questo è un importante risultato acquisito.  


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