Mentre ciò che manca nella Nadef e l’aumento differenziato dell’Iva incendiano il dibattito, e i dazi di Trump uccidono parte dell’export, la maggioranza si trastulla su taglio dei parlamentari e nuova legge elettorale

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Di Pino Salerno

Aumenti Iva? Certo che no. Rimodulazione delle aliquote, cioè abbassarne qualcuna e alzare qualcun’altra? Nì. A tre giorni dall’approvazione della nota di aggiornamento al Def la questione nell’esecutivo non è risolta. Perché se il premier Giuseppe Conte ribadisce che “non ci sarà un aggravio di Iva, l’ho già dichiarato”, e M5s e Italia Viva giurano che no, non aumenterà niente, c’è chi come la viceministra al Mef Laura Castelli (pentastellata) e il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia (Pd) non sembra così così convinto. Per l’esponente Dem, per esempio, le rimodulazioni Iva “si faranno perché oggi in questa imposta ci sono situazioni ingiuste”. Anche per Castelli il semplice fatto che si sia innescato un dibattito dimostra che “il problema esiste”. Ma, è il ragionamento, saranno le Camere a orientare la decisione: “se il Parlamento riterrà opportuno fare un dibattito durante l’iter della Finanziaria, è liberissimo. Anche perché ci sono aliquote che devono scendere: nei mesi scorsi abbiamo tentato senza successo di abbassare l’imposta sugli assorbenti femminili”. Posizioni che però incontrano la netta ostilità di Luigi Di Maio e dei cinque stelle. Questo governo, viene fatto notare, nasce su due principi fondanti: il blocco dell’Iva e il taglio dei parlamentari. “Se uno dei due viene meno, allora si perde il senso di questo governo”, è la velata minaccia. Nel frattempo, i sindacati segnalano la propria delusione in merito ad alcune assenze importanti nella Nadef, come ad esempio le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici. In particolare, Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, segnala che “ci sono cose buone: parlare di lotta all’evasione anziché di condoni è una cosa importante, parlare di ridurre le tasse ai lavoratori dipendenti e ai pensionati e non di flat tax è sicuramente una cosa importante. Però ci sono anche cose che non abbiamo trovato: ad esempio il problema che riguarda i pensionati, le pensioni, la pensione di garanzia per i giovani e anche il problema che riguarda il rinnovo dei contratti”. “Quindi – ha concluso il leader della Cgil – ci auguriamo e chiediamo che si apra un confronto vero per qualificare queste scelte”. Tutto ciò accade mentre la scure dei dazi commerciali Usa contro l’Ue si è abbattuta sui formaggi più tipici del Made in Italy, come parmigiano e pecorino, e sul prosciutto. Le tariffe sulle importazioni statunitensi dal Vecchio continente, per 7,5 miliardi di dollari, scatteranno dal prossimo 18 ottobre e saranno del 10% sugli aerei commerciali e del 25% sugli altri beni industriali e agricoli. Sul Pil italiano, l’effetto stimato è dello 0,05%.

Italia Viva sullo stesso, inedito asse dei 5Stelle

“Se dico io di stare sereno non funziona”, dice Renzi. Ironico ma non troppo, e infatti aggiunge: “Noi chiediamo solo che si rispetti l’impegno di non aumentare le tasse. Da quello che leggiamo non ci sarà aumento dell’Iva quindi va bene così”. Insomma, l’idea di spostare il peso dell’imposta sul valore aggiunto da alcuni beni su altri è il primo vero argomento di discussione nella maggioranza. Resta da capire come far quadrare interventi e conti. L’ufficio parlamentare di bilancio ha validato la previsione tendenziale della Nadef per il biennio 2019-2020 che ipotizza una crescita reale rispettivamente dello 0,1 e dello 0,4 per cento, pur segnalando “significativi fattori di rischio sulla crescita reale del Pil”. E’ il quadro macroeconomico a preoccupare con elementi di incertezza sia nel breve che nel medio periodo, “prevalentemente orientati al ribasso, in larga misura di matrice internazionale – dazi, Brexit, tensioni geopolitiche – e finanziarie”. Insomma, il cantiere è aperto, mentre Bruxelles aspetta che il quadro sia definito prima di pronunciarsi. Il premier assicura che “stiamo lavorando per simulare gli ultimi interventi e per definire nei dettagli l’impostazione della manovra economica” che “ha i suoi tempi, dateci qualche giorno per lavorare con tranquillità sui dettagli”. Di certo non sarà tutto e subito. Il taglio del cuneo fiscale per esempio partirà, a quanto pare, da luglio 2020, mentre l’addio al superticket e la revisione dei ticket sanitari “sono programmati non domani mattina ma in un arco di tempo più ampio – avvisa Conte – Ricordo che il nostro progetto non scade a dicembre ma è da attuare nel corso della legislatura, e anche i tempi degli interventi sono da dosare nel corso dei prossimi mesi e anche degli anni”.

Bisogna capire, per esempio, come recuperare quei 7 miliardi di evasione fiscale senza condoni, rottamazioni e sanatorie che negli ultimi anni hanno portato soldi nelle casse statali. Altro capitolo da aggredire è quello delle ‘tax expenditures’: Nel 2019, dalle analisi del Mef, sono emerse 513 voci, di cui 148 che valgono meno di 10 milioni. Tra queste ultime, 44 toccano l’Irpef, 16 l’Ires, 11 entrambe queste imposte, 11 l’Iva. Una revisione, si ribadisce da mesi, è necessaria: il problema però è che molte voci hanno una programmazione pluriennale. E il governo “sostiene la necessità di una riduzione delle spese fiscali e dei sussidi dannosi per l’ambiente. Insieme a nuove imposte ambientali, la revisione dei sussidi consentirà nel complesso di aumentare il gettito di circa lo 0,1 per cento del Pil”, si legge nel Def. Ma, tanto per fare un esempio, il primo stop arriva dalla ministra Teresa Bellanova, che al question time alla Camera ha assicurato che “le agevolazioni fiscali sul gasolio agricolo non subiranno alcun ridimensionamento, in particolare in una fase di rincaro del prezzo del petrolio”.

Intanto, oggi si sono riuniti i capigruppo della maggioranza di Camera e Senato per avviare il confronto, raggiungendo anche un’intesa sui tempi con cui andare avanti. Accordo anche sulla decisione di uniformare le modalità di voto, sia quello attivo, sia quello passivo, tra Senato e Camera. Del resto, proprio Pd e Leu, nell’ambito dell’intesa sul programma di governo, avevano chiesto e ottenuto dai Cinque Stelle che la riduzione dei parlamentari, cavallo di battaglia del Movimento, venisse accompagnata da altre importanti modifiche della Costituzione e dei regolamenti parlamentari. In particolare si discute sul fatto che il Senato non sia più eletto su base regionale ma su base interregionale: in questo modo anche i piccoli avranno accesso a Palazzo Madama. Si ipotizza anche un’elezione al Senato su base circoscrizionale, come la Camera, vale a dire che il recupero dei resti è su base nazionale e quindi anche con questo metodo i piccoli entrerebbero. Sul tavolo del confronto anche il taglio del numero dei delegati regionali che partecipano all’elezione dl presidente della Repubblica, quindi l’introduzione della sfiducia costruttiva e la modifica dei Regolamenti di Camera e Senato, in modo che si possano formare gruppi parlamentari con un numero inferiore di senatori e deputati rispetto ad oggi.

Al termine della riunione dei capigruppi, il presidente dei deputati dem, Graziano Delrio, elenca quanto meno l’intesa sui tempi: “C’è l’impegno a definire l’avvio della riforma della legge elettorale entro la fine dell’anno. Quindi – prosegue l’ex ministro – l’impegno a sottoscrivere entro martedì un impegno sul quadro e sui tempi delle riforme da attuare per bilanciare il taglio dei parlamentari”. Intesa confermata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento e le Riforme, Federico D’Incà (M5S) che parla di “tempi brevi sulla legge elettorale” e modifiche costituzionali “le più urgenti” entro il mese di ottobre, con una verifica su una seconda parte di riforme che dovrebbero essere completate “entro dicembre” Se c’è concordia sui tempi, resta la tensione tra Pd e Italia Viva sul nodo centrale, quello del futuro sistema elettorale: il segretario dem Nicola Zingaretti ha già dichiarato che combatterà contro il “proporzionale puro”. E’ nota la sua preferenza per un proporzionale con soglia alta, almeno il 4%, oppure un doppio turno nazionale con possibilità di dichiarare una alleanza tra il primo e il secondo turno. L’ex premier Matteo Renzi pensava a un proporzionale ma la strada resta aperta anche ad altre opzioni come conferma con chiarezza Ettore Rosato: “Si vuole cambiare la legge elettorale? Accetteremo quello che è un compromesso, su cui però lavoreremo insieme. Noi abbiamo sempre detto che siamo favorevoli ad un sistema maggioritario”, ha spiegato il deputato di Italia Viva. A chi gli ha chiesto se in realtà Italia Viva fosse favorevole al proporzionale, Rosato ha risposto: “un piccolo partito, supponendo che noi fossimo tali, ha più spazio in un sistema maggioritario”. La sintesi viene da un costituzionalista del Pd come Stefano ceccanti: “ci sono due modelli di legge elettorale su cui laicamente ci si confronta: un proporzionale selettivo con alta soglia o un maggioritario ragionevole, ovvero a doppio turno, come accade nei contesti in cui vi è frammentazione iniziale”. E’ quello che avevamo promesso e che stiamo facendo”.

Da jobsnews


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