I mafiosi collaborino se vogliono evitare l’ergastolo

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Chi conosce la storia di Calogero di Bona?

Vorrei che la conoscessero i Giudici della Corte Costituzionale che il 22 Ottobre dovranno pronunciarsi sull’ergastolo ostativo, vorrei che la conoscessero i giudici europei che hanno accolto il ricorso dell’ndranghetista Viola e vorrei che la conoscessero i tanti che per lo più in buona fede sostengono e sosterranno la “svolta” in materia di ergastolo ostativo applicato ai mafiosi. Perchè in pochi mi pare abbiano colto il punto.

Ad oggi il mafioso ha già una possibilità per uscire dall’ergastolo ostativo: collaborare con la magistratura.

La “riforma” auspicata da molti e sostenuta ad oggi dalla Gran Camera europea, punta a disgiungere: il mafioso anche se non collabora potrà uscire dall’ostativo a condizione che un giudice di sorvaglianza apprezzi in concreto il suo ravvedimento.

Ecco il punto: in questo modo si espone la magistratura di sorveglianza ad un pericolo grave e concreto. Ma vi immaginate cosa significa per la mafia sapere che un giudizio del genere, svincolato dalla oggettività della collaborazione, dipenderà da una valutazione soggettiva di una persona in carne ed ossa?

Per questo tutti dovrebbero conoscere la storia di Calogero di Bona, vice comandante del Carcere di Palermo, che a quei tempi era chiamato “Grand Hotel” Ucciardone perchè i mafiosi facevano quello che volevano, assassinato e fatto sparire (il suo corpo incenerito in un forno per il pane) il 28 Agosto 1979, alla vigilia del suo trentacinquesimo compleanno, perchè si era rifiutato di cedere alle richieste dei boss in carcere.

Qualcuno potrebbe obiettare che sono storie lontane, che oggi la mafia quelle cose non le fa più. Intanto se oggi quelle cose sono più rare è proprio grazie alla reazione politica, sociale ed istituzionale che ci fu a partire dalla mattanza degli anni ’70 e ’80!

E’ proprio perchè grazie al sacrificio di persone come Pio La Torre e Giovanni Falcone venne approvata una legislazione di rigore e vennero creati strumenti investigativi e giudiziari che prima non c’erano (tra cui l’ergastolo ostativo per i boss di mafia che non collaborassero!).

Ma anche le cronache odierne dovrebbero far riflettere e basterebbe, per esempio, considerare quello che sta succedendo nel processo “‘Ndrangheta stragista” procurato dalla DDA di Reggio Calabria dove un collaboratore cardine, Giuseppe Calabrò, ha cercato di rimangiarsi tutto quello che aveva messo a verbale dopo essere stato raggiunto in carcere dalla madre che gli ha fatto capire che era meglio che se ne stesse zitto e si facesse tutto il carcere, piuttosto che finire malamente da infamone.

Ora se in un contesto mafioso una madre arriva a minacciare il proprio figlio per fargli cambiare idea preferendolo in carcere piuttosto che infame, cosa potrà fare verso un Giudice di sorveglianza che manco parente è?

Presidente di Benvenuti in Italia e Consulente della Commissione Parlamentare Antimafia della XVIII legislatura

Da liberainformazione


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