Imbavagliati, la rabbia divide, le emozioni uniscono in un festival unico e vero

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Oggi è accaduto qualcosa che non succede spesso. Eravamo nel pieno di un pannel di giornalisti, come ne abbiamo fatti spesso, come ne abbiamo ascoltati tanti, si fa, si va, si spera di fare la differenza e si prosegue, ognuno con le sue storie, i suoi guai, le sue cose.

Invece oggi, per un istante, abbiamo vissuto uno di quei momenti che anche se solo per un secondo, danno il senso a quello che facciamo, che non è solo raccontare storie, ma viverle, sentirle, condividerle con una forza che ci ha incollati come se tutti condividessimo la stessa emozione, come se i nostri cuori battessero insieme e le parole sprizzassero energia.

Non accade spesso, ripeto, per questo credo sia nessario raccontarlo. Ha cominciato Asmae Siria Dachan con il ricordo di un collega morto, e chi di noi non ne ha uno? Chi non capisce immediatamente cosa significa perdere qualcuno a cui si vuole bene. Ci ha inchiodato. Ci ha aperto. Ha continuato Maha Hassan raccondando della madre estratta viva dalle macerie di un bombardamento in Siria e morta una settimana dopo di crepacuore. In quel momento quella signora morta era la mamma di tutti. E Maha era la sorella di chi era lì. O forse lo è diventata in quel momento. E ancora Alì Ehsani che ora è un giovane uomo laureato qui in giurisprudenza che fuggito a 8 anni con il fratello dell’Afghanistan dopo che i suoi sono morti sotto un altro bombardamento, ci ha messo 5 anni per arrivare in italia. In Iran lo picchiano e lo maltrattano. In turchia invece morirà suo fratello, e lui a 11 anni sarà un bambino solo in un paese di cui neanche conosce la lingua. Immaginate essere soli a 11 anni in un paese sconosciuto? Solo. Ma va avanti perchè non sa fare altro, perchè dietro ha solo violenza e morte e arriva qui sotto a un camion, come ogni giorno ne sentiamo e lotta e studia perchè questo voleva suo fratello. E lui diventa ognuna di quelle meravigliose persone che fuggono non per una vita migliore, ma per sopravvivere. Non è il clandestino che ci racconta Libero, è il figlio che tutti vorrebbero.

E poi noi raccontiamo altre storie, io, Tiziana Ciavardini, un argutissimo vignettista Riccardo Marassi e il pubblico si fonde con noi perchè adottano il dolore, la speranza, la forza che vengono raccontate. Potremmo anche stare zitti e le parole continuerebbero a scorrere. Parole che frantumano il silenzio. Fouad Roueiha traduce Maha e si commuove. E un uomo che si commuove a un tavolo di donne commosse, è potente.

E dentro di me ho pensato che in quel momento siamo stati la più grande pedata nel sedere a chi predica l’odio, istiga al razzismo, chi manipola e strumentalizza. Perchè la rabbia, la violenza colpiscono le parti più basse del nostro essere umani, mentre il riso e il pianto sono emozioni che entrano dentro e non si dimenticano. Si intrecciano al nostro dna.
La rabbia si scarica, il dolore e la felicità si conservano, si sistemano, si appollaiano nelle nostre anime, le nutrono. E fanno la differenza.

Il giornalismo serve anche a questo. Ed è avvenuto oggi, al Pan di Napoli, in una grigia mattinata di fastidiosa pioggerellina, dove un gruppo di persone ad @imbavagliati festival internazionale si sono incontrate e unite, relatori e pubblico: perchè la rabbia divide, le emozioni uniscono.

E per un momento non c’erano maschi o femmine, italiani o stranieri, cristiani, musulmani o atei, pubblico o giornalisti. Siamo stati per un istante il mondo. E non accade spesso. Ed è stato bello. E di questo Désirée Klain può essere fiera.

Foto di Stefano Renna


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