“Se lo scrivi, ti cito in giudizio”. Oltre le querele temerarie: dalla Germania le nuove strategie legali per imbavagliare l’Informazione

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Le scrivono avvocati e studi legali, le chiamano “avvertenze preventive” o “lettere informative”: formule eleganti dietro le quali si nasconde l’intento di bloccare o indirizzare la stampa libera. Il fenomeno riguarda la Germania ed è in crescita come riporta uno studio condotto da Tobias Gostomzyk e Daniel Moßbrucker, presentato l’8 agosto scorso dalla Fondazione tedesca Otto Brenner in collaborazione con la “Gesellschaft für Freiheitsrechte” e diffuso dall’ EFJ, il Sindacato Europeo dei Giornalisti. 

Gli studi legali dei media tedeschi ricevono almeno 4 lettere al giorno, missive in cui si minacciano querele e diffide in caso di pubblicazione di notizie e informazioni che riguardano i loro clienti. 

In queste lettere, gli avvocati, consapevoli di non poter legalmente bloccare l’uscita di un articolo, in genere sottolineano i rischi finanziari che emergono da un’eventuale pubblicazione, i costi che deriverebbero da un eventuale danno di immagine del loro assistito e così facendo cercano di intimidire e influenzare i redattori. Nel mirino ci sono soprattutto i giornalisti investigativi e d’inchiesta, quelli che più di altri hanno il dovere di confrontarsi con la persona interessata, prima di pubblicare il loro articolo, in sostanza si sveglia il can che dorme e gli avvocati fan partire le lettere cosiddette “preventive”. 

Dallo studio emerge però che non sono i giornalisti ad essere intimiditi da questa pratica, piuttosto le società che vogliono evitare, a priori, qualsiasi rischio legale. Emerge infatti che gli editori, sotto la pressione di queste lettere, sono sempre più disposti a firmare dichiarazioni in cui rinunciano a pubblicare articoli e inchieste, piuttosto che difendere il lavoro dei loro giornalisti davanti al tribunale. 

Una pratica che sta diventando comune e che sta indebolendo la libertà di stampa in Germania.  

E’ l’obiettivo che da noi, in Italia si cerca di ottenere minacciando esplicitamente i giornalisti o attraverso le “querele temerarie”, un’arma impropria scagliata contro il diritto di cronaca, un deterrente contro il giornalismo libero che si è affermato pian piano. Oggi, secondo l’osservatorio “Ossigeno per l’informazione” su 100 querele presentate 40 sono temerarie. Tantissime: i destinatari sono soprattutto i giornalisti meno tutelati e lo dimostra il fatto che il numero è andato crescendo man mano che la professione giornalistica diventava sempre più precaria e con compensi sempre più bassi. La prassi, anche qui rivolta soprattutto ai giornalisti d’inchiesta, è far piovere su un cronista una valanga di querele o richieste di risarcimento danni per intimidirlo, delegittimarlo o fermare le sue indagini. Prassi confermata dai dati: secondo le cifre fornite dal Ministero di Grazia e Giustizia, negli ultimi tre anni, il 90% delle querele per diffamazione indirizzate ai giornalisti sono state archiviate prima del dibattimento. A difesa della libertà di stampa contro questo strumento sempre più abusato, da anni, il segretario generale Raffaele Lorusso e il presidente Beppe Giulietti della Fnsi (la Federazione Nazionale della Stampa Italiana), sollecitano una legge che tuteli i giornalisti di fronte alle “querele temerarie” e al carcere per i giornalisti in caso di condanna per diffamazione. Dal Pd ai 5Stelle sono almeno tre i ddl presentati finora su quest’argomento, l’ultima proposta presentata alla Camera risale allo scorso marzo, il testo stampato lo scorso 3 luglio. Un tentativo analogo era stato fatto nella scorsa legislatura, quando la Camera approvò una riforma della diffamazione, con l’eliminazione del carcere per i giornalisti, che però si arenò e finì in un binario morto.

Ora, con questa crisi di governo in atto, vien da chiedersi che fine farà. 


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