76. Mostra del Cinema di Venezia | Un Leone d’oro come mascotte

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Con queste parole Pedro Almodóvar, il regista spagnolo più importante dopo Buñuel, ha commentato l’annuncio del conferimento del prestigioso premio, il Leone d’oro alla carriera che riceverà alla settantaseiesima mostra del Cinema di Venezia, che si terrà da 28 agosto al 7 settembre.

L’ironia e il disincanto, coi quali Almodóvar ha sempre guardato al mondo, lo portano a questo spontaneo commento, senza snobismo alcuno, forse solo la volontà di controllare una grande gioia.

Dopo importantissimi riconoscimenti, Oscar come miglior film straniero per Tutto su mia madre, Oscar per la  migliore sceneggiatura originale per Parla con lei, nomination miglior film straniero per Donne sull’orlo di una crisi di nervi, nomination miglior regista per Parla con lei, due Golden Globe miglior film straniero per Tutto su mia madre Parla con lei, Premio a Cannes per la migliore regia a Tutto su mia madre e per la migliore sceneggiatura a Volver, ecc., arriva il Leone d’oro e ancora il regista si emoziona.

A Venezia per la prima volta fuori dalla sua Spagna, il regista ebbe il debutto internazionale nel 1983 con L’indiscreto fascino del peccato, per tornarci, poi, con Donne sull’orlo di una crisi di nervi nel 1988, in Concorso per il Leone d’oro.

Questo riconoscimento arriva dopo il successo di Dolor y Gloria, presentato al Festival di Cannes di quest’anno, intenso omaggio del regista al cinema, all’arte, agli artisti, a se stesso.

L’infanzia che ci portiamo sempre dietro, il desiderio, la passione, l’amore incompiuto, il senso di impotenza, la dipendenza, il rimpianto e il rimorso che tormentano le nostre esistenze; lo sguardo degli innamorati, gli occhi di una madre, gli occhi di un figlio, l’amicizia; il dolore fisico e la depressione, la paura della morte. Un uomo, l’uomo. Tutto questo viene rappresentato – per mezzo di una narrazione delicata, sobria, tenera, profonda ma appena accennata – nell’ultimo, forse il migliore, film di Almodóvar, con il miglior Antonio Banderas di sempre, Prix d’interprétation masculine a Cannes.

Nel 2016 l’analisi del dolore umano si era soffermata sulla metà del cielo al femminile in Julieta: anche qui la vita viene percorsa a ritroso nel racconto/ricordo della protagonista che vive l’illimitata, insopportabile pena della separazione dalla figlia che tenta di ritrovare e incontrare portando alla luce errori e tormenti di un passato lontano e rimosso.

Con queste due ultime produzioni Almodóvar ha dimostrato di saper e voler superare certe provocazioni, certi estremi, certi toni caricaturali presenti nei film degli anni Ottanta (Tacchi a spillo, Donne sull’orlo di una crisi di nervi…) per indagare le dinamiche più complesse dell’animo umano di fronte a dolori, disagi, inquietudini, paure; del resto, con Tutto su mia madre aveva usato lo scandalo per gridare al mondo quello che allora era consuetudine tenere celato. Come dimenticare il monologo di Algrado o la scena finale con l’apparizione di Lola consumata dall’HIV?

Ha sperimentato anche il genere che più ha a che fare con la paura, il noir, ne La pelle che abito, rendendo un grande omaggio a uno dei suoi maestri: Fritz Lang.

Lavorando con la sua “famiglia” di attori – Carmen Maura, Penelope Cruz, Cecilia Roth, Antonio Banderas, Rossy de Palma, Javier Bardem, Emma Suarez – ha potuto plasmarli sul proprio immaginario, rivestendo sguardi, voci, corpi di tutti colori trasfigurati generati dalla memoria del ragazzo nato nella regione della Mancha e cresciuto fra le voci, le leggende, i fantasmi e i sentimenti estremi delle donne. Ha creato uno stile, seppur proteiforme, inconfondibile, teorizzando e mettendo in pratica una personale rielaborazione dell’intima natura melodrammatico-onirica (o fantastica) del cinema.

Le donne, senza dubbio, in tutta la loro fragilità e bellezza, maternità e sensualità, nelle mani di Almodóvar diventano uniche, irripetibili, belle in ogni età della loro vita.

Il direttore della Mostra Alberto Barbera ha dichiarato: “Almodóvar è  l’autore che è stato capace di offrire della Spagna post-franchista il ritratto più articolato, controverso e provocatorio. I temi della trasgressione, del desiderio e dell’identità sono il terreno d’elezione dei suoi lavori, intrisi di corrosivo umorismo e ammantati di uno splendore visivo che conferisce inediti bagliori all’estetica camp e della pop-art a cui si rifà esplicitamente.”

Il titolo alla sua vita, il visionario Almodóvar lo ha fatto coincidere con quello dell’ultimo film, in cui si racconta, si mette a nudo senza pudore, nel dolore fisico e nel dolore dell’anima: DOLOR Y GLORIA.

A Venezia la conclamazione (meritatissima) della sua Gloria.


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