Il volo del Corvo verso l’Occidente. ‘Nureyev – The White Crow’ di Ralph Fiennes

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Tratto dalla corposa biografia di Julie Kavanagh Rudolf Nureyev: The Life (2007), il biopic The White Crow racconta i primi ventitré anni di uno dei più grandi ballerini del ventesimo secolo. Il titolo del film è la traduzione di Belaya Vorona, che si usa in russo per descrivere una persona particolare, strana, eccentrica, diversa dagli altri, un outsider: il corvo bianco, uno dei tanti soprannomi di Nureyev. Il regista/attore Ralph Fiennes – che dirige il suo terzo film, dopo Coriolanus e The Invisible Woman, e si ritaglia anche il ruolo del maestro di ballo Pushkin – e lo sceneggiatore David Hare (The Hours, The Reader) scelgono di raccontare la storia del ‘tartaro volante’ in modo non lineare. Con una struttura che si evolve in tre tempi, vengono ripercorsi: gli anni dell’infanzia di Rudik a Ufa, nella Russia degli anni ’40; il suo periodo di formazione alla scuola di danza del Kirov a Leningrado – attuale San Pietroburgo – dal 1955 al 1961; la prima tournée, fuori dall’Unione Sovietica, a Parigi nel 1961. Questi tre movimenti s’intrecciano, in un’ammaliante coreografia, impressionando lo spettatore e restituendo un ritratto variopinto dell’artista fino alla scena clou del film, all’aeroporto La Bourget di Parigi, il 16 giugno del 1961, in cui Nureyev decide di rimanere in Occidente chiedendo asilo politico in Francia.

L’opera che sembra rivolta, in particolar modo, agli amateurs de ballet, assume difatti anche un valore ‘politico’, nel senso che è una riflessione acuta sul rapporto controverso tra arte/artista e politica tout court, considerando che il gesto estremo della diserzione di Nureyev s’inquadra nel periodo della Guerra fredda tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica. Si noti anche che, dopo qualche mese, dal 13 agosto dello stesso anno, sarà costruito il Muro di Berlino, simbolo della cortina di ferro.

D’altro lato, il film, che indaga sulle motivazioni che hanno condotto Nureyev a non ritornare in Russia, ci suggerisce altre risposte. Nella sequenza iniziale, lo stesso Pushkin, sospettato di averlo influenzato, poiché suo mentore, ribatte a un interrogatorio che l’atto ‘politico’ di Nureyev non è stato un attacco all’Unione Sovietica, ma alla danza, per rinnovarla, e continua dicendo che il suo vero movente è stato “un’esplosione di carattere”, per poter vivere a “modo suo”.

Fiennes affida la parte di Nureyev a un giovane ballerino ucraino, Oleg Ivenko, della compagnia Tatar State Ballet di Kazan’, alla sua prima esperienza attoriale. Perfetto nelle pirouettes delle variazioni coreografiche – La BayadèreLaurentiaIl lago dei cigniLa bella addormentata ecc. –, Ivenko, con i suoi occhi azzurri parlanti, ma distanti da quelli verdi magnetici di Nureyev, si sforza di tratteggiare la personalità complessa e multiforme del monstre sacré irraggiungibile, esibendo la sua spiccata curiosità, la sua fame di arte, musica, libri, teatro, cinema, e il suo desiderio avido di assimilare tutto della tecnica del balletto, che cerca ossessivamente di perfezionare; non maschera il suo carattere egoista, individualista, ribelle, presuntuoso, irrispettoso, altezzoso, che lo rende a volte antipatico e insopportabile.

Gli inserti in bianco e nero mostrano la sua nascita in un treno della Transiberiana, il 17 marzo 1938, presso il lago Bajkal e il “periodo delle patate”, anni di fame, freddo e solitudine. Nella piccola città di Ufa, capitale della Baschiria, Rudik vive insieme alla madre Farida (Ravshana Kurkova) e alle tre sorelle giocando tra la neve o in attesa del padre Hamet, rigido ufficiale dell’esercito. Tagliente è la dissolvenza incrociata con il particolare delle mani paterne sulle spalle del Ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, che ci porta al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.

Nelle scene a Leningrado lo vediamo a diciassette anni. Con una piccola valigia, Rudolf arriva nell’agosto del 1955 alla sede dell’Accademia Vaganova, per iniziare i suoi corsi di danza. È qui che incontra il maestro Alexander Ivanovich Pushkin, che è interpretato da Fiennes con molta intensità. Recitando in perfetto russo, l’attore ci trasmette l’essenza di un uomo riflessivo, quasi ieratico, con il tono moderato e uguale, non incline a parlare troppo e che si fa capire anche attraverso il rossore sul viso, quando qualcosa non gli piace. Rudolf, che ha rifiutato le lezioni aride e repressive del direttore Valentin Shelkov, si appassiona alle connessioni semplici, ma meravigliosamente fluide, proposte da Pushkin, in cui “ogni passo segue la logica interna e la naturale successione”.

Quando verso la fine del 1959 Rudolf è costretto a fermarsi, per uno strappo del legamento di una gamba, Pushkin lo invita a trasferirsi a casa sua. Considerato come un figlio, è accudito dalla moglie Xenia, un’ex allieva molto più giovane di lui, che si prende cura dei nuovi studenti. Interpretata da Chulpan Khamatova, Xenia è una donna attraente, estroversa, “di enorme appetito sessuale e di grande fascino erotico”; s’innamora follemente di Rudolf, che la asseconda pur di fare esperienza e nascondere la sua vera natura omosessuale. Gli atteggiamenti di Xenia sono visti da Pushkin come un’altra sfaccettatura del programma educativo: la necessaria iniziazione di un giovane ai segreti dell’arte di amare. Il rapporto tra i due s’inasprisce quando Xenia, possessiva e gelosa, intuisce la storia segreta di Rudolf con Teja Kremke – Louis Hofmann che abbiamo apprezzato in Under Sandet(Land of Mine) –, un ragazzo di Berlino Est, anche lui studente dell’Accademia, che è stato la sua “prima cotta”. Accennata sempre con delicatezza, l’attrazione omoerotica di Rudolf s’intravede anche in alcune sequenze flash: quando osserva, durante il soggiorno a Parigi, il suo bel compagno di stanza, Yuri Soloviev (Sergei Polunin), che dorme nudo sul letto o quando, giocando con il trenino elettrico, gli appoggia teneramente la testa sulla spalla.

Il sospirato arrivo a Parigi avviene il 12 maggio del 1961: Nureyev, con la compagnia del Kirov, accompagnati dai ‘consulenti artistici’ Konstantin Sergeyev e Natalia Dudinskaya, atterrano a Le Bourget, che all’epoca era l’aeroporto internazionale della città, dove li attendono i giornalisti per l’evento eccezionale. Il viaggio in pullman, attraverso l’Avenue des Champs-Élysée, per arrivare all’Hotel Moderne, ci regala le cartoline sbiadite dell’elettrizzante Ville Lumière degli anni ’60. A Parigi Rudolf parla inglese, che ha appreso da un’insegnante privata. La scoperta dei capolavori d’arte diventa per lui un’esperienza sublime: s’incanta davanti al dipinto di Théodore Géricault La zattera della Medusa, dopo aver atteso l’apertura del Louvre per ammirarlo, e rimane estasiato dalle splendide vetrate policrome della Sainte-Chapelle. La visione di queste meraviglie è enfatizzata dalle musiche travolgenti di Ilan Eshkeri, impreziosite dal tocco struggente delle corde del violino di Lisa Batiashvili.

Nonostante la sorveglianza stretta di Strizhevsky (Alexey Morozov), l’ufficiale del KGB incaricato di tenerlo d’occhio a Parigi, affinché non interagisca con gli occidentali, Rudolf stringe amicizia con due ballerini del Teatro dell’Opéra: Pierre Lacotte (Raphaël Personnaz) e Claire Motte (Calypso Valois), che sono immediatamente conquistati dal suo charme esotico. Al debutto del 19 maggio al Palais Garnier, il pubblico francese si scatena, con un entusiasmo assordante, per quell’istinto “felino” che scaturisce dalle sue linee leggere e ascensionali e quel tocco di femminilità sensuale che valorizza finalmente il ballerino, fino a quel momento relegato al ruolo di porteur. È questa la sua rivoluzione della danza! In quell’occasione i due amici francesi gli presentano Clara Saint (Adèle Exarchopoulos, La vie d’Adèle). Intelligente, elegante, fascinosa, con il foulard di seta in testa che le copre i capelli lisci, Clara è introdotta nel bel mondo dei danzatori, degli artisti e dei creatori di moda. Fumatrice accanita, è in stato confusionale e sotto terapia del Valium perché ha perso, in un incidente stradale, il fidanzato Vincent Malraux, figlio dell’allora ministro della cultura francese André Malraux. Tra i due s’instaura subito un rapporto di amicizia e complicità. Clara l’accompagna a comprare il sognato trenino elettrico Orient-Express e insieme, tra continui pedinamenti, passano momenti spensierati tra ristoranti chic, passeggiate lungo la Senna o serate gaie al Crazy Horse fino all’ultima notte.

La mattina della partenza per Londra, la tappa successiva del tour, Rudolf è informato che deve rientrare a Mosca perché è stata richiesta la sua presenza a un importante concerto al Cremlino e anche perché sua madre è malata. In un finale concitato, con un clima da thriller psicologico, grazie all’aiuto di Clara che intercede con la polizia di frontiera, Rudolf decide di rimanere. Alla domanda: «Perché vuoi rimanere qui?», Rudolf risponde: «Perché non mi lasciano vivere a modo mio». E come l’Uccellino azzurro, “muovendo dolcemente le braccia e il corpo come se fosse pronto a spiccare un volo leggero e spensierato”, il ‘corvo volante’ sceglie la libertà davanti all’infinito.


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