Alfonso Gianni. Il giro di vite della Ue può riaprire una nuova fase di scontro sociale

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È sempre interessante ed istruttivo, per comprendere i meccanismi del finanzcapitalismo – per usare l’appropriata definizione che ci lasciò in eredità Luciano Gallino – osservare i tempi e le modalità delle reazioni dei mercati finanziari prima e soprattutto dopo votazioni politiche significative. Indubbiamente questo è il caso delle elezioni per il rinnovamento del parlamento europeo tenutesi la scorsa settimana. Appena si sono svuotate le urne delle schede e conteggiati i voti, la parola è tornata ai mercati. È particolarmente sintomatico l’andamento delle variazioni dello spread nell’arco di una sola giornata. Una volta scampato il pericolo di una travolgente ondata nazionalista il differenziale tra Btp e Bund tedesco a 10 anni era sceso nella mattinata di ieri di due punti base, attentandosi a quota 264. Ma è bastato che l’autorevole agenzia Bloomberg calcasse la mano sull’ipotesi che Bruxelles possa imporre all’Italia una multa pari a due decimali di Pil, quindi di 3,6 miliardi di euro – da accantonare in un deposito non fruttifero avendo mancato gli obiettivi dichiarati sull’andamento del debito – che subito lo spread ha ripreso a crescere, finendo per attestarsi a quota 281,14, mentre il rendimento del Bund entrava in zona negativa (- 0,14%). Il che ha comportato che anche i rialzi iniziali di Piazza Affari sono sfumati nel giro di poche ore, costringendo la Borsa di Milano a chiudere sotto lo zero, anche di pochissimo, ma registrando il peggiore risultato continentale. Nel contempo, ed è un dato emblematico che aiuta a capire la “logica” degli investitori finanziari, i titoli greci hanno raffreddato i loro rendimenti immediatamente dopo l’esito elettorale favorevole alla destra, riducendo la forbice fra i titoli italiani e quelli ellenici a 50 punti.

Ma l’aumento dello spread non è l’unico problema per il nostro paese. Fra poco da Bruxelles partirà una lettera nella quale verranno chiesti al governo italiano chiarimenti sull’andamento del debito. La cosa non è inusitata di per sé. Anzi è una procedura normale. Ma assai meno lo è la richiesta di una risposta nel giro di 48 ore, che fa comprendere lo stato di allarme che gli organi europei stanno creando attorno all’Italia. Ciò che si può prospettare è una misura finora mai entrata in funzione, ovvero l’apertura di una procedura per debito eccessivo che porterebbe di fatto a un commissariamento del nostro paese per diversi anni a venire. E questo condizionerebbe non solo questo governo, ma anche quelli futuri, anche se dovessero derivare da mutamenti o capovolgimenti degli attuali rapporti di forza politici. Insomma i giri di vite delle regole di Maastricht, che questo governo prometteva di combattere facendolo solo con dichiarazioni roboanti, quanto innocue, tornano a diventare ancora più soffocanti. Il che dimostra la necessità di una riscrittura radicale delle regole che governano questa Unione europea, anche se l’esito elettorale della scorsa settimana non ha ancora premiato questa tesi avanzata dalla sinistra radicale.

È comunque chiaro che la navigazione di questo governo resta difficile, malgrado il rafforzamento enorme della Lega. Salvini dichiara che il governo continuerà, ma che bisogna fare subito l’autonomia regionale differenziata, la flat-tax, la Tav, ovvero tutte cose che non solo mettono in difficoltà il suo assai indebolito alleato di governo, cioè i 5Stelle, ma anche i conti di Tria, ovvero il tentativo di quest’ultimo di evitare scontri frontali con i guardiani di Bruxelles. D’altro canto la coperta, fin qui tirata tra Roma e Bruxelles, da corta si è fatta cortissima. Il 5 giugno la Commissione europea formulerà le “Raccomandazioni Paese” e lì si misureranno le reali intenzioni della tecnoburocrazia della Ue.

La cosa più probabile è che verranno richieste nuove assicurazioni sulla esistenza di coperture agli impegni assunti nel Def. L’ipotesi di una manovra bis, sempre negata dal ministero dell’economia, per almeno 3 miliardi si fa sempre più probabile. Così come, Tria per la verità non lo ha mai nascosto, un incremento dell’Iva, seppure con qualche gioco sulle aliquote per renderlo meno indigeribile, è più che un’eventualità. Del resto, dal punto di vista della Commissione europea – che non è certo il nostro – accettare che Roma vada fuori registro con una Brexit alle porte, significa rischiare l’implosione di tutta l’Eurozona.

Ma l’incremento dell’Iva, comunque fatto, porterebbe a un rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità e si ripercuoterebbe su redditi da lavoro o da pensione già bloccati o martoriati. Le premesse per un autunno surriscaldato dal punto di vista sociale ci sono tutte. Servirebbe uno scatto ulteriore da parte dei movimenti, quello dei giovani sull’ambiente come quello femminista, che in questi mesi hanno tenuto alta la capacità di resilienza alle politiche del governo pentaleghista; così come del sindacato e della Cgil in particolare, visto che la sinistra politica continua a latitare, anzi ha peggiorato la sua situazione dopo queste elezioni europee, e solo da una ripresa dello scontro sociale potrebbe trovare la strada per una sua ricostruzione. Il paradosso, ma solo apparente, è infatti proprio questo. Non si può certo dire che non si siano visti in tutta Europa e anche nel nostro sfortunato paese, sorgere o riattivarsi sia  nuovi che più tradizionali movimenti sociali, proprio quelli che la sinistra radicale ha sempre auspicato. Eppure quando questi movimenti si sono manifestati la sinistra radicale non ha saputo interpretarli o comunque non ne ha saputo trarne motivo di rivitalizzazione. Come se essa fosse insieme miope e presbite.

Alfonso Gianni

Da jobsnews


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