Portella della Ginestra e i suoi piccoli morti

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di Emanuela Braghieri

portella guttusoVincenza La Fata aveva otto anni; era la più piccola. Giovanni Grifò dodici, Giuseppe Di Maggio tredici; Serafino Lascari quindici. Sono loro le quattro vittime non ancora maggiorenni della Strage di Portella della Ginestra.
Sulla questa Strage molto è stato detto, ma poco si conosce. Il Primo maggio 1947 centinaia di agricoltori nell’entroterra palermitana tra Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, si erano trovati per festeggiare e manifestare: due termini apparentemente agli antipodi, in realtà complementari e indivisibili in quanto alla base di qualsiasi senso di insoddisfazione si celano la fierezza e la gratitudine di un cambiamento del quale solo chi ne è stato artefice può provare. Sul suolo di Portella della Ginestra, che decenni prima aveva visto tenere discorsi ai contadini il medico e simbolo del socialismo siciliano, Nicola Barbato, si è trovata a festeggiare la Festa del Lavoro interrotta dal Fascismo, la fine della guerra e la vittoria del blocco popolare alle elezioni dell’assemblea regionale siciliana.
I cittadini manifestavano contro la fame; la disperazione della gente comune andava contro il latifondismo a favore di una sperata riforma agraria. Nell’ottobre del 1944 l’occupazione delle terre incolte venne legalizzata dal Ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo con l’obiettivo di migliorare la situazione di grande povertà. Uno strappo al passato siciliano letto come minaccia per la borghesia agraria e mafiosa.
Speranze e paure, istanti di spensieratezza sulle note dell’intervento del calzolaio Giacomo Schiró, segretario della sezione socialista di San Giuseppe Jato e in quel momento sostituto del politico Girolamo Li Causi, si trasformano in attimi mortali scanditi da colpi di mitra, che arrivano sulla folla come pioggia. Le fonti ufficiali scrivono di 11 morti e 27 feriti, le fonti ufficiose parlano di un numero di morti maggiore e un numero di feriti da 33 a 65.
Una strage, la prima strage dell’Italia repubblicana, la prima Strage di Stato: tutto questo è Portella della Ginestra. Tra coloro che morirono sul colpo, tra le tante donne, bambini e nuclei familiari, ricordiamo anche Margherita Clesceri, madre di sei figli e incinta.
Ma allo scalpore e all’indignazione seguì la minimizzazione delle Istituzioni. Il Ministro Scelba disse: “Non c’è movente politico. Trattasi di un episodio fortunatamente circoscritto, maturato in una zona fortunatamente ristretta le cui cui condizioni sono assolutamente singolari”. Dopo qualche mese, vennero individuati nel bandito Giuliano e nella sua banda gli esecutori materiali della strage. Ovvero: perfetti capri espiatori. Perché sullo sfondo di quella che è stata la prima Strage di Stato del dopoguerra, incombono i (non tanto) taciti accordi tra la borghesia mafiosa e le Istituzioni italiane.
Serafino Pecca aveva 16 anni ed era lì con l’amico Serafino Lascari quel giorno, per ascoltare i comizi dei sindacati. Ha avuto la fortuna (o la sfortuna) di considerarsi un sopravvissuto alla strage, al contrario dell’amico. Con gli occhi di un guerriero che ha sfidato  la morte e l’ha sconfitta, ma di un uomo che fatica a sorridere dal dolore che la sopravvivenza porta con sé, ha affermato: “Cercavamo un diritto che ci  apparteneva, non è possibile che qui ci fossero 4-5 persone che avevano mille ettari, chi duemila, chi di più, e gente che moriva di fame”.
Quel Primo Maggio nasceva dalla volontà condivisa di opporsi alle ingiustizie e ai soprusi di chi faceva coincidere il lavoro allo sfruttamento, di chi vedeva allora una speranza. Ma ciò che è successo quel giorno, fece diventare Portella della Ginestra il luogo simbolo di un avvertimento: se lottate per i vostri diritti, questa è la risposta che otterrete… dalla mafia, con l’assenso dello Stato. E per quella bambina e i tre adolescenti uccisi nessuno ha mai chiesto scusa.

Da mafie


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