In Spagna tutto bene ma non troppo

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Occhio a non esaltarsi troppo per il pur positivo esito delle elezioni spagnole. Senz’altro sono andate bene, con una netta affermazione del PSOE di Pedro Sánchez, finalmente mondato dalla deriva conservatrice della sua ala destra e ricondotto là dove storia, valori ed elettori gli chiedono di stare. E senz’altro l’idea di un’alleanza con la giovane formazione di Podemos e con alcuni partiti regionali, a cominciare dalla sinistra catalana, martirizzata dalla follia del governo Rajoy, è intrigante e potrebbe rivelarsi anche risolutiva per un Paese da anni in guerra con se stesso. Guai, tuttavia, a peccare di eccessivo ottimismo. Perché la Spagna, per l’appunto, è una nazione senza pace, condannata dall’insipienza delle sue classi dirigenti a tornare al voto con cadenza annuale o quasi e costretta ad assistere allo spettacolo snervante di un pluralismo finora negato dal governo di Madrid ma più forte di ogni costrizione centralista.

Personalmente, non sono favorevole al secessionismo catalano; al contrario, reputo gli indipendentisti liberisti della Catalogna dei personaggi per lo più discutibili e con idee che nulla hanno a che spartire con quelle di una sinistra al passo coi tempi, salvo una piccola minoranza che per fortuna ha rialzato la testa in questa tornata elettorale. Ma ancor meno posso accettare lo sfregio all’evidenza che i vari esecutivi succedutisi nella capitale hanno compiuto.

La Spagna, come sa chiunque ne conosca un minimo la storia, gli usi, i costumi e le tradizioni, non è mai stata un paese unitario. La Spagna esiste e ha un senso se riconosce di essere una federazione, un insieme di storie, etnie, religioni, usanze e lingue che nessun nostalgico del franchismo e dei suoi cloni, più o meno riusciti, può cancellare. Del resto, neanche il “Generalissimo” è mai riuscito a impedire ai baschi o ai catalani di parlare la propria lingua, se non formalmente, salvo poi trovarsi a fare i conti con la realtà e con le curve dei rispettivi stadi trasformate dai tifosi locali in tribune elettorali in servizio permanente effettivo, fino al sublime sberleffo di Cruijff che chiamò il figlio Jordi in sfregio al regime che vietava questo nome, in quanto eloquentemente catalano.

Per questo, per quanto li tema e ne veda tutti i rischi, soprattutto a livello di contagio nel Vecchio Continente, reputo i franchisti di Vox dei barbari senza futuro. Possono berciare quanto vogliono, possono cospargere d’odio chiunque faccia notare che esistono le Spagne e che la pluralità è insita nel DNA della Nazione, possono rifarsi a un passato ormai tramontato e anacronistico, possono avanzare, prendere più seggi del previsto, mostrarsi aggressivi e persino condizionare la formazione del prossimo governo, ma se si immaginano un nuovo Alzamiento significa che hanno compreso poco o nulla della realtà contemporanea.

Tutt’è capire se la sinistra classica del PSOE, quella moderna di Podemos e dei suoi alleati e quella indipendentista della Catalogna sapranno convivere, dato che l’ultimo esecutivo socialista è stato mandato a casa proprio dalla follia dei secessionisti, ahinoi malati di un estremismo infantile che li ha indotti a non comprendere i propri interessi e a non rendersi conto che solo il PSOE e Podemos possono accettare le loro condizioni, ampiamente contrastate invece dai moribondi popolari dell’evanescente Casado, dai liberisti in ritirata di Rivera e, per l’appunto, dai franchisti di Vox.

Solo una guida sul modello della sindaca di Barcellona, Ada Colau, può garantire alla Spagna, anzi alle Spagne, l’unità nella diversità della quale hanno bisogno. Solo un governo che sappia guardarsi dentro e intervenire nelle innumerevoli contraddizioni di una Nazione in ginocchio può donarle un minimo di stabilità, evitando un ennesimo ritorno alle urne che potrebbe provocare una destabilizzazione dalle conseguenze imponderabili. E solo remando tutti nella stessa direzione gli esponenti della sinistra, vecchia e nuova, potranno restituire un minimo di speranza a un’Europa in cui ormai la sinistra è, da anni, la grande assente, con i risultati tragici che sono sotto gli occhi di tutti.

Vedremo cosa accadrà: se l’esito del voto spagnolo sarà l’inizio della rinascita o l’apice del caos. Nel qual caso, non è difficile ipotizzare che la Spagna sarà un’ex nazione e l’Europa, al massimo, un’espressione geografica.


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