“Le mie due guerre” – di Mauro Esposito

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Nell’avanzato e ricco Nord Industriale in cui le imprese e la ‘ndrangheta calabrese vanno spesso a braccetto per interessi convergenti, drogano il mercato, alterano il principio economico della libera concorrenza riciclando i proventi miliardari del traffico di cocaina, c’è un imprenditore che ha detto no, che ha denunciato boss e gregari dell’organizzazione criminale puntando il dito contro di loro in un’aula di tribunale. Squarciando un velo di omertà e connivenze che in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Liguria, è agli atti dei processi e si nutre del reciproco vantaggio.

La storia di Mauro Esposito è – prima e più di tutto – una storia di ribellione, un viaggio nelle viscere della criminalità organizzata e dei suoi tentacoli nell’economia piemontese. E’ una storia di coraggio, di lotta. Per salvare la propria vita e restituire una speranza a una sistema ormai rodato, figlio di collusioni e silenzi complici. La sua vicenda conferma come la ‘ndrangheta esista anche dove non pensiamo e dove – sempre di più – la scopriamo. Lontano dalla Calabria, a capo di società che fatturano milioni di euro. Movimenta denaro e cantieri, cerca nuovi spazi per creare “lavatrici” finanziarie, avvicina gli imprenditori, cerca di corromperli e non ammette rifiuti. Altrimenti passa ai metodi intimidatori .

In quel Nord in cui le storie come quella di Esposito sono poche e l’omertà delle vittime tantissima, si è aperto uno spiraglio per tutti e si è chiusa una porta per i clan. Ed è quello che è successo a questo ingegnere, colpevole di non essersi piegato alle logiche criminali del profitto. Un boss in doppiopetto, legato mani e piedi alle potenti famiglie del Crotonese, ha minacciato lui e la sua famiglia coperto – alle spalle – da un’organizzazione ‘ndranghetista potente e radicata. Lo hanno ridotto sul lastrico per convincerlo a farsi da parte e prendere il suo posto nel remunerativo mondo dell’ingegneria e delle direzioni lavori della provincia sabauda. Hanno cercato di distruggerlo utilizzando anche leggi abrogate da anni e risalenti ai tempi di Mussolini.   Quattro anni dopo la sua denuncia, sono scattati gli arresti e poi le condanne. In mezzo un travaglio lungo e soffocante a caccia di un respiro libero da meccanismi e presenze che il Nord fatica a riconoscere o peggio alimenta in nome del business. Con l’indagine San Michele nata anche dalle denunce di questo imprenditore, Torino ha scoperto la pervasività della mafia calabrese. La spregiudicatezza e la profondità della sua infiltrazione che mirava agli appalti milionari dell’Alta Velocità Torino-Lione. Ed Esposito ha fatto la sua parte.

Oggi è testimone di giustizia. Si sta dignitosamente rialzando. Combatte ancora per concludere un percorso reso complesso dall’elefantismo dello Stato. Che è mamma ma anche matrigna quando si tratta di riconoscere i meriti di chi ha denunciato. Il processo si è concluso con 19 condanne per 416 bis.  Tra questi anche il boss in Porche Cayenne denunciato dall’ingegnere di Caselle.


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