Bertolucci e l’arte del tempo 

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Addio a Bernardo Bertolucci, addio a un gigante del cinema e del nostro tempo, addio alla sua arte, alla sua poesia, al suo innato gusto per la bellezza e per la gioia di vivere, alla sua fragilità e ai suoi sogni.
Addio al demiurgo di innumerevoli capolavori: contestato, condannato, accusato di essere peccaminoso e infine rivalutato come merita il suo genio, come è giusto che sia, come sarebbe dovuto sempre essere, non essendo nemmeno ipotizzabile sospettare che da parte sua potesse esserci una propensione alla violenza.
Ha descritto l’amore, l’incesto, le passioni e i sentimenti forti, le molteplici sfaccettature del Novecento e il suo corso devastante e irripetibile, sempre all’insegna dell’anticonformismo e dell’orgogliosa lettura in chiave marxista degli eventi.
L’impegno civile è inscindibile dalle sue pellicole, anzi è ciò che le innerva e le rende uniche nel loro genere. Tuttavia, la vera arte, la sublime grandezza del maestro è stata la sua esplorazione del tempo, del suo scorrere, della sua complessità, del suo essere contemporaneamente lo sfondo e il protagonista degli avvenimenti, ciò che li determina e ne è a sua volta determinato, il principale attore dei suoi film e delle loro trame epiche.
Un uomo dolce, sincero, come ne nascono sempre meno, e ricco di un idealismo oggi difficile persino da comprendere.
Addio a un narratore di meraviglia, capace di dividere, indurre a riflettere, scandalizzare e infine volare verso l’eternità, libero come solo le rondini del pensiero sanno essere.
Addio, dopo una vita trascorsa a sfidare ogni certezza e a sconvolgere l’ordine costituito, per poi lasciarsi andare ad un tenero sorriso, tanto fanciullesco quanto ricco di immensità.

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