M5S e democrazia diretta

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In questi giorni è ricorrente l’affermazione che la manovra finanziaria elaborata dal governo sia “una manovra del popolo”. A farne l’uso più frequente (anche nella trasmissione televisiva condotta da Barbara D’Urso !!) è il giovane Vice-premier, Luigi Di Maio, capo politico di un Movimento (M5S) che si richiama costantemente ai principi di democrazia diretta. Questo Movimento si propone di fare della democrazia diretta un modello di governo che dovrebbe soppiantare l’ordinamento rappresentativo, eliminando gli stessi partiti politici mediante l’instaurazione di un confronto costante tra rappresentanti in Parlamento e cittadini. Tale movimento, infatti, profila l’idea di “rifondare” il sistema costituzionale attraverso il ricorso alla democrazia digitale che, per mezzo della rete, consentirebbe di spostare molteplici decisioni direttamente in capo ai cittadini. In tal modo, il WEB riuscirà a scalzare l’intermediazione partitica instaurando un rapporto diretto e costante tra cittadini e rappresentanti in Parlamento i quali sarebbero dei semplici portavoce dei cittadini partecipi in prima persona, mediante la rete, delle decisioni politiche. In questo modo i partiti e lo stesso concetto di delega politica non avrebbero ragion d’essere in quanto — si sostiene — il cittadino diventerebbe «politico in prima persona» (in tale senso G. Casaleggio – B. Grillo, Siamo in guerra. Per una nuova politica, 2011).
Tale sistema viene sperimentato all’interno del Movimento attraverso una piattaforma digitale (finita sotto la lente del garante della privacy per la sua permeabilità) – pomposamente definita piattaforma “Rousseau” (ai cui principi dice di ispirarsi il Movimento) – gestita da un’associazione privata (la “Casaleggio associati”) e alla quale possono accedere gli iscritti del Movimento (circa 200.000, molto pochi rispetto al numero degli elettori del Movimento di oltre 10.000.000 che in un sistema di democrazia diretta andrebbero consultati) e che ha consentito l’elezione, con appena 30.000 voti, di un “capo politico” con poteri assoluti (circostanza che sembra stridere con un concetto di democrazia diretta). La consacrazione di “Rousseau” (piattaforma e associazione) è avvenuta nella festa tenuta al Circo Massimo dal M5S il 20 e 21 ottobre ove il giovane Davide Casaleggio – dopo aver pontificato che “il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile” e che “non ci sono più scuse, la partecipazione è necessaria” – ha categoricamente affermato che “la partecipazione dei cittadini sarà intrinseca allo Stato”.
Orbene, la democrazia diretta, nel senso voluto da Rousseau – l’esercizio del potere legislativo resta nel pieno controllo del popolo, senza possibilità di delega – costituisce una sorta di modello utopico, un ideale cui si continua a fare riferimento in modo sostanzialmente improprio. Già nel lontano 1984, Norberto Bobbio, nel saggio “Il futuro della democrazia”, affermava che “uno Stato in cui le decisioni siano prese attraverso un continuo appello al popolo non è neanche immaginabile ed è irrealizzabile”. Oggi, se si vuole parlare correttamente di democrazia diretta, ci si deve, senz’altro, riferire alla democrazia partecipativa, (quale è quella attualmente negli Stati democratici), in quanto quest’ultima non presuppone la scomparsa dei rappresentati e non richiede nemmeno l’adunanza di tutti i cittadini in assemblee. La democrazia partecipativa consiste nell’introduzione di elementi di partecipazione popolare – referendum, iniziative, revoche – in un sistema rappresentativo con lo scopo di perfezionarlo e controllarlo meglio dalla prospettiva del cittadino o, quanto meno, avvicinarlo al popolo.
Due, pertanto, le conclusioni: la prima è che da un punto di vista dogmatico è acquisito che un sistema di democrazia diretta non è realizzabile e, probabilmente, non si è mai realizzato. La democrazia diretta, in effetti, come forma di governo non esiste e, pertanto, quella definizione in termini di teoria empirica è errata e fuorviante. La seconda è che la teoria delle democrazia digitale si pone in evidente contrasto con il modo in cui la Costituzione intende il rapporto di integrazione tra partecipazione e rappresentanza. In tal senso, infatti, essa sovverte i principi fondamentali del costituzionalismo moderno, giacché ripropone un’idea da tempo superata, ovvero, che la rappresentanza costituisca un’alternativa rispetto alla partecipazione e, così facendo, non tiene presente che l’intero sistema costituzionale, la forma di Stato e di governo, si reggono proprio sulla necessaria integrazione tra partecipazione e rappresentanza.


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