Le nuove forme del razzismo

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(intervista a) Gad Lerner. Giornalista, conduttore televisivo e saggista

[intervista a cura di Michele Lipori]

A ottant’anni dalla promulgazione da parte di Mussolini delle “Leggi razziali”, un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi rivolti prevalentemente contro le persone di religione ebraica e applicati in Italia dal 1938 fino al 1945,  quello del razzismo è un tema che fa ancora molto discutere, soprattutto in politica.

A tal proposito abbiamo intervistato Gad Lerner, che lo scorso aprile ha presentato per la Rai La difesa della razza, un reportage-inchiesta in sei puntate il cui fine è precisamente di attualizzare la lezione storica della discriminazione e della persecuzione degli ebrei sotto il regime fascista per analizzare e comprendere, tra analogie e distinzioni rispetto ad allora, le nuove forme di espressione del razzismo nel linguaggio e nei comportamenti, oggi, in Italia.

Nel 1938 furono promulgate le leggi razziste da Mussolini. 80 anni dopo a che punto siamo?
Ho l’impressione che questo ottantesimo anniversario sia vissuto con disagio perché, trattandosi di provvedimenti in nessun modo difendibili, siano stati catalogati come “pagina oscura” ma anche minimizzati come una parentesi. Persino i postfascisti nel dopoguerra, di fronte a questo grumo di infamia, hanno ritenuto doveroso prendere le distanze e lo hanno fatto cercando di dimostrare che si trattava di un corpo estraneo al progetto fascista e alle politiche del Regime. Naturalmente questo è un falso storico, ma spiega anche il passaggio d’epoca: oggi, tranne davvero sparute minoranze, nessuno sostiene più le tesi pseudoscientifiche del razzismo biologico. Anche fra i più accesi propagandisti dell’odio per gli stranieri, dello stop all’immigrazione, del pericolo islamico, non troviamo nessuno che voglia appoggiare queste sue argomentazioni xenofobe su fondamenti di natura genetica. Questa è la grande differenza.

Non diciamo più che esiste una razza superiore, ma cresce l’idea della inconciliabilità fra etnie, popolazioni, religioni e culture diverse, sullo stesso territorio. Dunque è anche per il loro bene, oltre che per il nostro, che è meglio che stiano a casa loro.

Poi c’è anche un’altra di differenza: il fatto che oggi le culture che pure si richiamano a una valutazione benevola del fascismo tendono a inglobare l’identità ebraica dentro l’identità occidentale e dunque a distinguere tra gli ebrei e le popolazioni, le etnie, le minoranze, contro le quali si scagliano di volta in volta. Che siano, some avvenuto in passato, gli albanesi, gli slavi, i romeni, o che siano provenienti dal Sud del mondo, vengono distinti dagli ebrei di ieri e di oggi.
Il risultato è che si determini una sorta di “senso comune” per cui perseguitare gli ebrei era sbagliato, perché erano “persone per bene”, non paragonabili – ad esempio – agli “zingari” che invece hanno il furto e il vagabondaggio nel Dna e sono in qualche modo una “malattia sociale”. Nei confronti degli “zingari” permane uno stereotipo razzista, molto vicino al razzismo di stampo biologico. Queste sono le differenze, ma è stato impressionante rilevare – nel lavoro di ricerca che ha portato alla composizione delle diverse puntate de La difesa della razza – impressionanti analogie di argomentazione, linguaggio e modalità di propaganda con le forme di razzismo attuali. In questo senso, la propaganda razzista degli anni Trenta del Novecento ha fatto scuola e si ripropone oggi in forme quasi identiche.

Parlando di falsi storici, resiste una “vulgata” che descrive Mussolini in qualche modo costretto a emanare le leggi razziste perché obbligato dalla sua alleanza con Hitler…
Oggi possiamo anche ricordare che altri paesi alleati di Hitler e con un regime fascista, primo fra tutti la Spagna di Franco, non applicarono leggi “razziali”. Quindi l’Italia non era obbligata da nessuno a farlo.

Parlando di antisemitismo. Qual è la situazione oggi in Europa?
La matrice principale dell’antisemitismo contemporaneo è islamica e si allinea all’interno delle comunità immigrate dal Nord Africa, dal Medio Oriente e da paesi a maggioranza musulmana. Questo è un dato di fatto. È vero che esistono odiose e attive minoranze fasciste e filonaziste che si richiamano ancora all’antisemitismo di Hitler e Mussolini, ma l’antisemitismo che si respira oggi in Europa è principalmente una risultante dal conflitto mediorientale che porta ad associare tutti gli ebrei alla politica del Governo israeliano e ad indicare il sionismo come nuovo progetto di dominazione in senso globale e di sfruttamento di altri popoli.

L’antisionismo, dunque, è la nuova frontiera dell’antisemitismo?
Spesso l’antisionismo tracima in antisemitismo nel senso che negando un’aspirazione che è centrale nella cultura millenaria del popolo ebraico – alla fine dell’esilio, alla ricostituzione di un focolare – calpesta un elemento identitario fondamentale dell’ebraismo. Quindi capita spesso che il fortissimo legame di natura “sentimentale” (e spesso ormai anche “parentale”, dato che quasi tutte le famiglie ebraiche d’Europa hanno parenti in Israele o vanno e vengono da Israele) venga interpretato come una “prova” di una doppiezza, di una slealtà nei confronti dello Stato del quale gli ebrei sono cittadini. Inoltre, parlando più in generale, c’è l’associazione che vede l’ebreo come prevaricatore, aggressore, profittatore.

Permangono ancora molti pregiudizi nei confronti degli ebrei. Il più resistente è quello che li vede protagonisti di una  cospirazione globale, soprattutto sul piano economico.
Credo che valga la pena soffermarsi un attimo su questo punto perché è esattamente un anello di congiunzione – uno dei pochi, a parte il linguaggio – tra il razzismo antisemita novecentesco e le derive xenofobe di oggi.
Trovo assolutamente non casuale che per interpretare tutto ciò che accade intorno al fenomeno migratorio contemporaneo si alluda a piani segreti di trapianto etnico di popolazioni, finanziato e progettato da speculatori i quali mirerebbero, portando gli africani in Europa, all’abbattimento del costo della manodopera e quindi all’impoverimento delle classi lavoratrici europee nonché alla distruzione dell’identità religiosa, culturale e linguistica degli europei. Il famoso pericolo di islamizzazione e di invasione.

Quindi la modalità in cui viene demonizzata una figura complessa ma decifrabilissima come quella di George Soros ricorda né più né meno le teorie che vanno dai Protocolli dei Savi di Sion, sino a tutta la ritrattistica, l’iconografia del banchiere col naso adunco, il cilindro e il sigaro in bocca, che allunga i suoi artigli sul globo… Continua su confronti


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