La “nuova” Rai si conferma vecchia, almeno nelle procedure di nomina dell’alta dirigenza

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Questa mattina (31 ottobre), dopo settimane di fibrillazione, il Consiglio di Amministrazione della Rai ha deciso chi andrà a dirigere le principali testate giornalistiche del “public broadcaster service” italico: accolta la proposta del Dg/Amministratore Delegato Fabrizio Salini, che ha indicato Giuseppe Carboni per il Tg1 (al posto di Andrea Montanari); Gennaro Sangiuliano per il Tg2 (al posto di Ida Colucci); Giuseppina Paterniti per il Tg3 (al posto di Luca Mazzà, il quale passa alla direzione di Radio1 e Giornale Radio dove c’era un “interim”), e infine Alessandro Casarin alla direzione delle testate regionali Tgr. Il tutto quasi all’unanimità, essendoci stato un voto contrario, soltanto, ovvero quello di Rita Borioni (“in quota Pd”, ed unica sopravvissuta del precedente Cda), la quale aveva preannunciato che, al di là delle persone indicate, avrebbe espresso il proprio dissenso per il metodo attraverso cui si sarebbe arrivati alla scelta dei nuovi direttori e dirigenti. Un paio di giorni fa anche il consigliere Riccardo Laganà (eletto dai dipendenti Rai, e simpatizzante del M5S), aveva lamentato che la convocazione del Cda odierno fosse avvenuta con un ordine del giorno che recava “nomina dei direttori di rete e di testata”, ma senza alcuna documentazione, “che auspichiamo arrivi almeno 24 ore prima, se non di più, per analizzarla… Federica Sciarelli al Tg1? Ho appreso il suo nome dai giornali, così come il fatto che lei non sia molto d’accordo, perché ha un programma molto avviato… ho chiesto criteri oggettivi di valutazione dei curricula, eventualmente un interpello per capire quante persone si sono candidate e la spiegazione della scelta di una persona. Mi sono spinto fino a chiedere anche delle audizioni pre-voto per i direttori di testata, per capire quale sia il loro progetto, quale telegiornale vogliono realizzare nei prossimi anni…”. Che rientri in un “gioco” tra consiglieri vicini o lontani dalla maggioranza di Governo, poco importa: le tesi di Borioni e Laganà ci appaiono assolutamente condivisibili. Così come “audizioni pre-voto”, per parafrasare Laganà, dovevano essere promosse dai Presidenti di Camera (Roberto Fico) e Senato (Maria Elisabetta Alberti Casellati), per “scremare” gli oltre 200 candidati al Consiglio di Amministrazione Rai: ma si è preferito fare finta di promuovere un metodo democratico-tecnocratico finanche “trasparente”, per poi decidere, come sempre finora, nelle segrete stanze delle segreterie di partito la composizione del Cda. Una farsa.

L’analisi cromatica, anzi spettrografica, di questi nuovi direttori dei Tg poco ci interessa: restiamo convinti che i telegiornali della Rai non offrano ancora una visione sufficientemente plurale e pluralista del Paese (e basta leggere bene le analisi dell’Osservatorio di Pavia o dell’Osservatorio Tg promosso da Eurispes), e restino troppo influenzati dalle soggettività di chi li dirige, troppo legati al partito “alfa” o al “partito” beta (noi siamo spettatori – masochisti – del Tg1 e potremmo scrivere un divertente saggio sulle strane variazioni dell’“agenda setting” della testata, nelle ultime settimane).

Altro che liberazione della Rai dalla partitocrazia! Il “nuovo corso” di Viale Mazzini si conferma geneticamente vecchio, con buona pace dei roboanti annunci del Movimento 5 Stelle e della Lega in campagna elettorale.

Altro difetto gravissimo ed imperdonabile dei Tg Rai: non si autocostruisce autorevolezza, se ci si limita da “dare notizie” in modo asettico, senza commenti critici, senza proporre una analisi dei fenomeni di cui si tratta. Di fronte ad efferati fatti di cronaca (ma anche a fenomeni macroscopici come le migrazioni), nei Telegiornali la Rai non chiede mai ad un esperto, un accademico, uno studioso, uno specialista… una interpretazione critica che possa contestualizzare l’accaduto nello scenario complessivo, cercarne una possibile spiegazione logica (e finanche scientifica). Propone semplici “distaccate” fotografie che vorrebbero essere asettiche, e che tali invece non sono, giustappunto per la quasi totale assenza di approccio interpretativo e critico: si tratta di una pseudo-neutralità che finisce per azzerare la funzione di “servizio pubblico” di un’emittente televisiva. Questo è uno degli argomenti che non vengono affrontati quasi mai nel dibattito politico “su” ed “intorno” alla Rai: responsabilità precisa va attribuita anche ai quotidiani, che si appassionano per le nomine (con logiche da tifo calcistico o da politologia da bar) e trascurano le tematiche strategiche del servizio pubblico mediale (“cosa” può ed essere la Rai nella società attuale, quale il suo senso, la sua funzione, la sua missione???).

Eppure, anche in Italia, occasioni di dibattito intelligente ed evoluto, talvolta emergono (pur nel silenzio dei più): qualche giorno fa, a Villa Medici, s’è tenuta la 32ª edizione del festival internazionale di cinema ed audiovisivo Eurovisioni, creato dall’appassionato Giacomo Mazzone, già giornalista e dirigente Rai, da alcuni anni “emigrato” in quel di Ginevra, a capo della Direzione Relazioni Istituzionali della European Broadcasting Union – Ebu (alias Uer, secondo l’acronimo francofono).

Giovedì 25 e venerdì 26 ottobre, di fronte ad un uditorio di qualificati operatori ed esperti del settore (una platea attenta mediamente di cinquanta-sessanta persone), si sono avvicendati, nelle varie sessioni, rappresentanti di diversi “psb” d’Europa: l’impressione complessiva che se ne è tratta è del solito (storico) ritardo del nostro Paese, dei deficit perduranti del nostro sistema mediale, che si caratterizza anzitutto per l’assenza di un adeguato meccanismo di bilanciamento tra governo, “psb”, autorità di regolazione… In Italia, tutto è confuso, sovrapposto, vischioso, spesso “in conflitto di interesse” – in senso lato e talvolta in senso stretto – senza che (quasi) nessuno denunci patologie che – essendo incancrenite – sembrano esser quasi divenute fisiologiche (in effetti, il sistema sopravvive a se stesso, apparentemente senza crisi radicali).

Invece di affrontare tematiche strategiche e gli obblighi – vecchi e nuovi – del “contratto di servizio”, da settimane la Rai (ed il mondo politico-mediale che segue la Rai) si avviluppa sul toto-nomine (che appassiona purtroppo molti colleghi, che dedicano lunghi articoli su chi sale e chi scende le scale del palazzone di viale Mazzini).

Molti sono intervenuti ad Eurovisioni in verità anche per ascoltare la prima pubblica sortita romana del Presidente della Rai Marcello Foa, nella mattinata di venerdì 26, nei saluti di benvenuto del “panel” intitolato “La riforma dell’audiovisivo in Europa: quali conseguenze per l’industria dei media?”. Grande la delusione di chi si aspettava una qualche indicazione strategica e concreta sulla Rai futura. Il professor Foa ha letto due paginette di generiche considerazioni mediologiche, con un intervento che non può non essere classificato come… rituale, peraltro con un tono di voce così pacato da rendere il testo ancor più evanescente: tutt’altro che approccio… decisionista-sovranista “à la Matteo Salvini” (come qualcuno si aspettava). Forse, essendosi trattato di una prima apparizione, il neo Presidente ha ritenuto di lasciar prevalere prudenza: estrema prudenza.

Le giornate romane di Eurovisioni hanno proposto molti stimoli, ma, tra tutti, ci piace segnalare gli interventi del Commissario Agcom Antonio Nicita e della Consigliera di Amministrazione Mediaset Gina Nieri. Il professor Nicita si è concentrato sulla novella direttiva europea sui “servizi audiovisivi”, nella cerniera tra vecchi e nuovi media (il “mondo di mezzo” tra vecchio e nuovo, come l’ha definito), nel rapporto tra ruolo dello Stato e ruolo del mercato, enfatizzando che si deve concentrare l’attenzione politica sulle finalità sociali dell’intervento normativo e regolamentativo, con particolare attenzione al lato della “domanda” (allorquando storicamente si è per lo più intervenuti sul fronte dell’offerta, ovvero delle imprese). La consigliera Nieri si è posta come paladina del sistema mediale quale strumento di difesa dell’identità nazionale e della democrazia stessa, a fronte delle conseguenze – per alcuni aspetti terribili – della “disruption” provocata dalla nuova economia mediale, che vede alcuni “player” in posizioni di oligopolio e soprattutto di disprezzo di ogni regola imposta dalla mano pubblica (si pensi all’oggettiva asimmetria tra le leggi e le regole cui sono sottoposti i broadcaster televisivi, a fronte dell’anarchia nella quale sguazzano allegramente gli “over-the-top”).

La sessione più concreta di Eurovisioni è stata senza dubbio la terza, l’ultima, intitolata “Contratti di servizio in Europa: esperienze a confronto”, che ha coinvolto, tra gli stranieri, Jérôme Cathala, Direttore Relazioni internazionali France Télévisions, e Jacquie Hughes, Direttore Content Policy di Ofcom, ed è stata introdotta dal Presidente di Eurovisioni Michel Boyon.

La sessione specificamente “italiana” è stata un’occasione veramente ghiotta, perché è stata presentata un’interessante ed inedita ricerca realizzata da Rai stessa, coordinata da Stefano Luppi, Vice Direttore delle Relazioni Istituzionali di Viale Mazzini, intitolata “Storia del contratto di servizio”.

Ha fatto seguito un dibattito vivace ed acceso, promosso (e provocato) dal professor Mario Morcellini, nella sua veste di Commissionario Agcom, ma inevitabilmente anche di mediologo che da decenni studia anche la Rai: sono intervenuti, tra gli altri, Marco Maria Gazzano (professore a Roma Tre, esperto di videoarte), Michele Petrucci (Presidente del Corecom del Lazio), Bruno Somalvico (della Direzione Affari Istituzionali della Rai, ma coordinatore del “think-tank” InfoCivica), Mihaela Gavrila (coordinatrice del Dipartimento CoRis dell’Università Sapienza), Vincenzo Vita (già Sottosegretario alle Comunicazioni ed attualmente Presidente dell’Aamod), e finanche chi redige queste noterelle.

Cosa è emerso dal dibattito?!

Che, nel corso degli anni, il “contratto di servizio” tra Stato e Rai ha registrato una qualche evoluzione semantica, ed è divenuto meno sfuggente e generico e aleatorio, ma che, ancora oggi – nell’ultima versione, in fase di imminente attuazione – appare deficitario del sinallagma che dovrebbe caratterizzare qualsiasi contratto serio (superando il libro delle belle intenzioni, o, peggio, il libro… dei sogni!): la definizione precisa delle prestazioni (“cosa” fare, e “come”, con indicatori specifici e parametri oggettivi, con l’esigenza di una misurabilità tecnica), a fronte di altrettanto precisa definizione delle controprestazioni (nel caso in ispecie, soprattutto a livello di budget).

Bei temi come “il canale internazionale” ovvero “l’ufficio studi” o, ancora, “l’indice di coesione sociale” (tre delle più interessanti innovazioni introdotte nel “contratto di servizio” durante la discussione in Commissione Vigilanza) corrono il rischio di essere sottodimensionati, e sostanzialmente vanificati, in assenza di specifiche indicazioni tecniche e di adeguata allocazione di risorse. Come è già accaduto, nel corso del tempo, per strutture innovative ed importanti, come il canale televisivo RaiMed, il Qualitel, o il Segretario Sociale della Rai, tutti… killerati (ovvero progressivamente annacquati) in modo diverso e “soft”, ma comunque scellerato (a causa di avvicendamenti, e finanche lotte tra fazioni, nella dirigenza apicale, nel cda, nell’economia politica – interna ed esterna – dell’azienda…). Anche grazie ovvero a causa di un “contratto di servizio”… evanescente!

Ci auguriamo che queste tematiche – oltre alle nomine – vengano presto affrontate dal nuovo Consiglio di Amministrazione della Rai: la strategia complessiva del “public media service” nella società italiana (a partire dalla questione essenziale dell’“alfabetizzazione”, e non soltanto digitale!), e le sue concrete declinazioni operative (linee editoriali differenziate, stimolazione di una visione plurale della società, contrasto dei discorsi d’odio, tutela dei minori e delle minoranze tutte, produzione di opere audiovisive creative e sperimentali, ricerca artistica ed innovazione tecnologica, confronto con gli “stakeholder” –i telespettatori in primis ed i cittadini – in un’ottica di responsabilità sociale, eccetera ecc. ecc.).

* L’autore dell’articolo è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult

Clicca qui, per leggere la ricerca Rai, curata da Stefano Luppi, “Storia del contratto di servizio”, presentata il 26 ottobre 2016 ad Eurovisioni 2018.

Clicca qui, per fruire della videoregistrazione (a cura di RadioRadicale) degli incontri di Eurovisioni, tenutisi a Roma il 25 e 26 ottobre 2018, a Villa Medici, dal titolo “Eurovisioni 2018. Patrimonio culturale e servizio pubblico: matrimonio d’amore e d’interesse”


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