A caccia di parole

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Per favore, se  vi è un superlativo  più forte di indecentissimo suggeritemeli: mi serve per qualificare il provvedimento con il quale   –  ahimè  – il nostro Governo ha eliminato  la modesta pensione assegnata sin dal 1955 a coloro (in maggioranza ebrei) che avevano subito persecuzioni fasciste. Era un piccolo, modesto segno del  doverosissimo riconoscimento da parte dello Stato di aver compiuto un orrendo crimine   ai danni di propri cittadini, in nome di un’aberrante ideologia razzista. Ed è stato eliminato  proprio in un periodo in cui razzismo ed antisemitismo  rigurgitano da più parti; è stato eliminato nell’ambito della spending review come se si trattasse di uno spreco!

Incredibile. Per favore, se esiste un superlativo più forte di squallidissimo suggeritemelo: mi serve per qualificare chi è stato capace di un’idea così meschina e chi le ha dato seguito non trovando in se stesso  la forza di rifiutarsi di redigere quel provvedimento inqualificabile. Ma chi sono costoro? Hanno idea di cosa sono state le leggi razziali? Evidentemente no. Ma non hanno scusanti;  mai come in questo caso  l’ignoranza non è ammissibile, non può essere  una giustificazione. Si informino, si documentino da chi c’era.

Io c’ero. Io ho sentito che ai bambini ebrei della mia stessa età era proibito andare a scuola. Sei ebreo? Non hai diritto di imparare a leggere, scrivere e far di conto. Io l’ho vista – e mi si è impressa nella memoria – una bambina ebra, calzini bianchi  nelle scarpette di vernice nera ed una gonna a campana,  attraversare il cortile del palazzo n 33 di Piazza della Borsa a Napoli,  in cui abitavo. Con una cartella nella mano destra si  recava  a lezione  privata da Ivonne, una giovane ebrea con la licenza magistrale, amica di mia madre, che le faceva scuola. Dalla mia finestra al terzo piano non ne vedevo l’espressione del volto, ma l’incedere lento e la rigidità del corpo, il capo fermo rivolto sempre e solo  davanti manifestavano  tristezza  e paura. Era tutto il suo corpo a denunciare questi sentimenti.

Io li ho visti tanti   negozi   sostituire  le insegne che recavano un nome ebreo. Sei ebreo? Ti devi nascondere! Sei ebreo?  Non puoi fare l’avvocato, né il medico, né l’ingegnere. Fin quando non è arrivato il momento in cui si è detto:<Sei ebreo? Non hai diritto di vivere>. E ne sono stati e state uccisi e uccise sei milioni. Tra di essi 9 persone di 11 che io conoscevo perché amiche di mia nonna, di mia zia, di mia madre  e di mio padre. Nella loro  casa  ho passato a giocare la gran parte delle mattinate della mia infanzia, poiché abitavano al primo piano nella mia stessa scala; una si chiamava Iole (ma per me era “mamma giù”) un’altra si chiamava Amedeo (ma per me era “babbo giù”), una Ivonne (ma per me è stata Tatita per tutta la vita), un’altra Elda (per me Ndindina) e poi Aldo, Sergio, Milena, Loris, Renato e i due ultimi nati   di cui non ricordo il nome, che  forse non  ho mai conosciuto.

Il 4 dicembre del 1942, il giorno dopo  il primo bombardamento “a tappeto” delle fortezze volanti statunitensi a Napoli, scappammo insieme con lo stesso tram per andare a prendere la Circumvesuviana e “sfollare” nei paesi ai piedi del Vesuvio. Ma le bombe ci raggiunsero   anche lì. Allora i nostri anici ebrei pensarono di trasferirsi in Toscana (madre e padre erano fiorentini) e fu la loro rovina. In una retata delle truppe tedesche furono catturati tutti, tranne Ivonne, Renato e Sergio..Sergio  chiese   ad un amico “ariano”  di portare ai    congiunti in carcere un cambio di biancheria. I soldati tedeschi  capirono che qualche ebreo era scampato al rastrellamento e fermarono l’’<ariano> facendo sapere che lo avrebbero rilasciato solo quando l’ebreo scampato si fosse presentato. Fu così che Sergio dette un bacio alla moglie Ivonne e al figlio Renato e raggiunse i parenti  insieme ai quali fu messo in un vagone piombato e avviato ad  un viaggio che si concluse  nel camino di un forno crematorio.

Dopo la guerra incontrai nuovamente  Ivonne e  Renato  dai quali ho appreso quel che era accaduto dopo il congedo ai piedi del Vesuvio. Ed ho assistito alla loro immane fatica di riprendere a vivere portandosi dentro una caverna scavata dal dolore. Ecco io ho vissuto tutto questo, ne sono testimone. Perciò non riesco a trovare parole sufficientemente efficaci per esprimere la mia rabbia per questo provvedimento governativo – che è niente di meno che un’infamia – ed il mio disprezzo per chi lo ha ideato e per chi non si è rifiutato di redigerlo.


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