Rostagno, quei colpi mortali che ancora si possono sentire

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Trent’anni dopo il delitto del sociologo e giornalista ucciso a Trapani il 26 settembre 1988, il processo ha scritto la parola mafia ma il delitto fa parte dell’attualità di una terra dove Cosa nostra continua a comandare assai

Rino Giacalone

Migliorate l’udito e assieme possiamo sentire a 30 anni di distanza, ancora distintamente, quei colpi esplosi da un fucile a canne mozze calibro 12 e da un revolver calibro 38, la sera del 26 settembre 1988, contro il sociologo e giornalista Mauro Rostagno, morto ammazzato dalla mafia a Trapani dove aveva riscoperta la passione di far il giornalista lavorando dentro una tv privata, Rtc. Li sentiamo ogni qual volta si parla di Cosa nostra trapanese, lo zoccolo duro della mafia siciliana e non solo perché oggi capo c’è un latitante ricercato da 25 anni, il castelvetranese Matteo Messina Denaro. Una mafia che ha forti intrecci con la borghesia cittadina, con le istituzioni, che entra nelle stanze della politica, dell’economia, delle imprese e delle banche. La mafia che è diventata un’unica cosa con tanti poteri, massoneria in primis. Cosa nostra che fa capolino negli affari e negli appalti, nel grande circuito del riciclaggio del denaro e nei grandi appalti. Fin dentro l’Expo di Milano. Mauro Rostagno aveva ben capito la potenza della mafia trapanese e annotava che mentre a Palermo si ammazzava a Trapani la mafia poteva anche non farlo, e anni dopo il suo delitto un pentito venne a dire che in quegli anni ’80 la mafia a Trapani riusciva a tenere i cani attaccati, ossia evitava le indagini, e sparava quando non ne poteva fare a meno, Rostagnonei suoi appunti spesso annotò tanti affari e delitti di mafia, come quelli del giudice Ciaccio Montalto (1983) e dell’attentato al pm Carlo Palermo, la strage di Pizzolungo (1985). Riuscì a scrivere anche… Continua su liberainformazione 


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