Così parlò Luciano De Crescenzo

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“Sono stato fortunato” ha scritto recentemente Luciano De Crescenzo in un’autobiografia, uscita in occasione dei suoi novant’anni, che ovviamente è stata apprezzata dai suoi innumerevoli lettori.
Del resto, come si fa a non apprezzare De Crescenzo, l’inventore di Bellavista, il cantore di una Napoli antica, profumata di vicoli, di quartieri, di passioni ormai scomparse, il cui il disagio sociale è espresso con ironia e persino la malavita viene messa in discussione da una prosa tagliente e dotata di un acume raro? Come si potrebbe non amare un uomo che ha dato così tanto al nostro panorama culturale?
L’ingegner De Crescenzo, come detto, fa novanta ed ecco che la sua vita ci appare come un lungo film, caratterizzato da capitoli colmi di passione e arguzia, mai sopra le righe, intriso di quello spirito partenopeo che affonda le radici nella saggezza di una realtà da sempre multiculturale, nella quale le varie dominazioni hanno inciso più che altrove, proprio come in Sicilia, fino a forgiare la tempra di un popolo orgoglioso e dotato di un’intelligenza fuori dal comune.
Luciano De Crescenzo appartiene alla stessa Napoli di Troisi e De Filippo, alla Napoli pulita, colta, capace di scherzare sui suoi innumerevoli problemi e di specchiarsi nella propria indubbia bellezza. Una Napoli che non si arrende, che resiste e rivive nella prosa decrescenziana, capace tuttavia di ampliare il proprio sguardo e di sospingerlo verso altri orizzonti, compiendo un viaggio nella filosofia greca e nella storia, definendo scherzosamente Garibaldi comunista e Ulisse un fico e riproponendo, pagina dopo pagina, un’analisi irriverente del passato e del presente.
Non so quali auspici abbia formulato in occasione di questo prestigioso traguardo: so per certo che lo ha raggiunto con levità e che con levità continua a vivere, a scrivere e ad amare il mondo, lui che conosce bene le molteplici sfaccettature dell’animo umano e che di sicuro non si rassegnerà mai a questa società imbarbarita e incapace di sorridere.
In Luciano De Crescenzo, nelle sue parole e nella sua filosofia di vita si rispecchia la nobiltà d’animo di una stagione perduta eppure in grado, ciclicamente, di tornare, sia pur a sprazzi, sia pur in maniera effimera, sia pur dovendo bucare costantemente la coltre di orrore che vela il nostro tempo.

Ha parlato a lungo, in decine e decine di libri, senza mai stancare. Ha parlato ad un pubblico bisognoso di pensare senza intristirsi e ci è riuscito alla grande. Ha portato nelle nostre case, sui nostri comodini e nelle nostre letture serali la folle meraviglia di un’analisi appassionata e disincantata al tempo stesso, in uno dei suoi tanti ossimori, delle sue tante, volute contraddizioni, dei suoi non detti che raggiungono lo scopo più di mille espressioni altisonanti.
A differenza di altri scrittori, destinati all’oblio e al vasto scaffale della retorica a buon mercato, De Crescenzo resterà. Resterà perché è uno di noi, l’ingegnere dell’IBM (che sua madre confondeva con l’UPIM), capace come pochi di riflettere sul mondo partendo dall’osservazione della vita quotidiana delle persone.
E così, senza puntare il dito né offendere nessuno, il nostro, ribadiamo, fa novanta, proprio come la paura, in base ai dettami della Smorfia che a Napoli sono sacri.
“Novanta, e chi se lo sarebbe mai immaginato!”. Non lo conosco personalmente, ma se un po’ ho compreso il personaggio li avrà commentati più o meno così. Un’occhiata al mare, un sorriso accennato e vagamente malinconico, l’orizzonte in lontananza e i pensieri che ancora volano, e voleranno per sempre, nella sua mente fervida e straordinaria. Buon compleanno, ingegner De Crescenzo!

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