Troppo “sbirri” per avere un’altra sorte

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di Dario Montana

Palermo in quegli anni era una città assuefatta alla violenza mafiosa. Beppe, così come Ninni Cassarà, rappresentava certamente un’anomalia: una nuova generazione di investigatori con una diversa formazione civile e politica.
Dalle motivazioni della sentenza di condanna nei confronti dei mandanti e degli esecutori, emergono chiaramente la solitudine e l’isolamento che si era determinato nei loro confronti:  “Altri colleghi erano mossi dal calcolo o dalla viltà, ovvero dalle loro debolezze individuali; talune lunghe, protette e sospette latitanze erano il risultato di connessioni di intrecci e di sostegni che consentivano il mantenimento di innumerevoli clandestinità”.
Non si fermava davanti a niente, Beppe, non cercava alibi, la passione per il proprio lavoro gli faceva superare la cronica carenza di risorse e mezzi.
Con Cassarà si inventavano di tutto: la macchina prestata da un amico o dalla fidanzata perché quelle assegnate erano tutte scassate o riconoscibili. Le collette con i propri collaboratori per affittare un appartamento per fare gli appostamenti, il cannocchiale preso a prestito dall’ottico sotto casa. La parrucca prestata da una amica. Arrivarono perfino a trasformarsi in piazzisti per il Banco di Sicilia, che aveva promesso un computer ai clienti che avrebbero fatto sottoscrivere un certo numero di carte di credito dell’American Exspress. Nonostante le numerose sottoscrizioni non arrivarono mai ad avere quel computer. Sì, sembra incredibile, ma contro la mafia mancava una strategia complessiva da parte dello Stato. La lotta alla mafia era stata delegata ai ragazzi della catturandi e dell’investigativa, pochissimi uomini guidati dalla passione di Beppe e Ninni.
Beppe era anche preso in giro dai suoi colleghi che lo chiamavano “Bip Bip”, proprio perché chiedeva continuamente più mezzi, soprattutto microspie per il suo lavoro. Per chi gli voleva bene e per i giornalisti era “Serpico”, come l’investigatore interpretato da Al Pacino.
Anche Ninni Cassarà veniva criticato dai colleghi, che lo accusavano di manie di grandezza perché aveva avuto assegnata una macchina blindata, precedentemente assegnata al questore del tempo, il dottor Montesano, che la ritenne per sé non sicura.
Infatti, quando Beppe ebbe un gravissimo incidente in servizio e fu costretto per parecchio tempo a letto, ingessato, riceveva a Catania diverse visite di Ninni e dei ragazzi della catturandi, per studiare il famosissimo rapporto denominato Greco Michele + 161, quello che diede vita al maxiprocesso. Una volta fui costretto a recuperare in autostrada Ninni, rimasto in panne con la blindata. Erano questi gli straordinari mezzi messi a disposizione dallo Stato per contrastare Cosa nostra.
Beppe iniziò subito a collaborare con il pool antimafia voluto da Chinnici, continuò poi con Caponnetto ed operava in piena sintonia anche con Falcone e con Borsellino.
Il carattere di Beppe, i suoi metodi investigativi, la condivisione dei rischi e degli obiettivi con i ragazzi della catturandi produssero un radicale cambiamento dentro la squadra mobile. Confortati dai numerosi successi investigativi, il clima di sfiducia per la mancanza di mezzi e i sacrifici, anche personali  ai quali erano sottoposti, fu presto sostituito da un clima di entusiasmo. Le conoscenze degli uomini più esperti si integravano con le intuizioni investigative di Beppe e con i nuovi metodi di indagine.
L’intuizione più grande fu certamente la costituzione di un gruppo specializzato nella ricerca dei latitanti. La ricerca non si limitava solo ai canonici orari di ufficio o con operazioni di routine che si chiudevano sistematicamente con verbali di vane ricerche, come accadeva prima. Caddero nella rete di Beppe decine e decine di latitanti: da Marino Mannoia a Pietro Mesicati Vitale, i killer del generale Dalla Chiesa: Nunzio Salafia e Antonino Ragona, Masino Spadaro e il killer del professore Giaccone, Salvatore Ruotolo e Tommaso Cannella solo per ricordarne alcuni.
Quell’impegno, così totale e assorbente, doveva assolutamente essere fermato da “Cosa nostra”. Beppe aveva dimostrato che i latitanti si potevano catturare proprio nel loro territorio di competenza. I boss mafiosi non potevano commettere più alcun errore. Si doveva assolutamente decapitare quella struttura investigativa, i loro covi venivano sistematicamente scoperti e lo stesso succedeva per i depositi di armi, come quello scoperto sotto il cavalcavia dell’autostrada Palermo-Catania.
La stessa sorte toccava alle raffinerie di droga, come quella vicino al porto, dove un tecnico francese aggiornava i mafiosi. Così come aveva scoperto la camera della morte dove venivano sciolte le persone nell’acido per farle scomparire.
Di Beppe e Ninni, i magistrati scrivono: ”L’attività di quei validi funzionari aveva consentito di acquisire un grande patrimonio investigativo, in anni in cui il fenomeno mafioso era stato sottovalutato a causa di scarsa attenzione, frutto di professionalità scadenti oppure di vere e proprie collusioni”.
Per continuare a svolgere i propri affari “cosa nostra” doveva necessariamente arrestare quel processo di accerchiamento. La morte di Beppe prima e quella di Cassarà dopo, fece raggiungere l’obiettivo.  Inoltre dobbiamo prendere dolorosamente atto che questo obiettivo fu facilitato dall’incredibile morte in questura del basista dell’omicidio di Beppe, Salvatore Marino. La squadra mobile venne smantellata e furono inviati funzionari non attrezzati, con nessuna esperienza sulla criminalità organizzata. La mafia aveva raggiunto i suoi obiettivi. Tutto il patrimonio di conoscenze acquisito venne disperso.
Fortunatamente nel corso degli anni, con fatica quei vertici vennero sostituiti, la squadra mobile e  la catturandi hanno continuato a lavorare, sempre tra mille difficoltà ma riuscendo a catturare numerosissimi latitanti. Beppe e i suoi appunti continuarono, anche dopo la sua morte, ad indicare dove i mafiosi si nascondevano. E sono convinto che ancora sorride fischiettando, tra una sigaretta e l’altra, quando i suoi colleghi di oggi portano a segno quelle operazioni che non ha avuto il tempo di completare.

(8 – continua)

Da mafie


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