Le luci del Rojava

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Le ultime luci del giorno abbandonano la terra di una pianura del Rojava. Di notte i cimiteri tornano a essere terra silenziosa e buia. Non è stato così venerdì notte, il 18 maggio, il “giorno dei martiri”. A Kobane, Gire Spi, Tabka si sono accese le luci. Il Kurdistan, una terra che non c’è, si illumina di candele su ogni tomba. Centinaia di tombe illuminate per qualche ora uniscono un Popolo che c’è da migliaia di anni (dagli antichi Medi da cui discendono) e che non ha mai avuto una sua terra. O meglio, un Popolo con due regioni diverse, in uno stato continuamente fragile di autonomia. Un Kurdistan iracheno, sostanzialmente governato –quasi patriarcalmente- dalla famiglia Barzani, che ha provato a rendersi indipendente con un referendum, subendo la repentina reazione dell’esercito iracheno e delle milizie sciite. Kirkurk è stata rapidamente conquistata ed è terminata l’amministrazione autonoma del Curdi di Barzani. I classici buoni rapporti con la Turchia non sono stati più di tanto scalfiti dall’invasione delle regione curda di Afrin nel nord-ovest della Siria, né dalla meno nota invasione per 20 km nel nord dell’Iraq. Una regione autonoma del Kurdistan (KRG) esiste nel nord dell’Iraq. L’aeroporto di Erbil, la sua quasi-capitale, è collegato dalla Turkish Airlines con un volo diretto da Istanbul. Il Governo KRG non fa paura a nessuno, se non si azzarda a chiedere l’indipendenza.

Ma esiste un’altra regione governata a prevalenza dai Curdi. Il Rojava nel nord della Siria. Il Rojava, a differenza del KRG, fa paura a molti. Fa paura una regione autonoma curda a sud del confine turco. Fa paura un esperimento di democrazia, autonomia e egualitarismo, unico nel suo genere in tutto il Medio Oriente. Ogni cantone, ogni città del Rojava ha una doppia guida, maschile e femminile. A Cannes è stato presentato “Girls of Sun” che racconta per immagini le splendide combattenti curde dello YPJ. E’ un modo per noi diretto di capire l’unicità della lotta del Popolo curdo.

Per tutta una fase dell’ormai infinita guerra civile in Siria, il Rojava ha cercato di evitare ogni conflitto, provando a mantenere un’oasi di pace in quello che era ed è “l’Inferno in terra”. Poi non è stato più possibile. Prima Daesh (l’ISIS) con il tentativo di occupazione di Kobane, oggi l’invasione Turca e jihadista del cantone di Afrin. I Curdi, per primi, hanno sconfitto con sole armi leggere i tagliagole a Kobane, dopo un assedio di mesi. Poi hanno riunito combattenti Yazidi, Assiri, Cristiani, Arabi nel SDF (Forze Democratiche Siriane). Anche grazie al sostegno USA, iniziato quando l’amministrazione Obama decise di intervenire con bombardamenti e invio di aiuti durante la resistenza di Kobane. I Curdi hanno accettato consapevolmente un “patto con il diavolo”, per niente ignari del rischio di un futuro tradimento. Hanno accettato di essere “gli stivali sul terreno” degli USA, conquistando velocemente i territori verso Raqqa e, alla fine, la capitale del regno del terrore. E’ bene ricordare che la regione di Raqqa è a maggioranza araba e che il sacrificio di centinaia di vite non era per liberare territori curdi. Raqqa, lì dove sono stati concepiti e sono partiti la maggior parte degli attentati che hanno insanguinato le città europee.
Ora Raqqa è stata liberata dalle forze del SDF. Sotto lo sguardo delle forze speciali USA, un’amministrazione mista, inter-etnica e inter-religiosa la governa. Non è un caso che una delle terre illuminate dalle candele del giorno dei martiri fosse Tabqa, nei pressi della diga che fornisce acqua alla regione di Raqqa.

Non si sono accese, invece, le luci nel cimitero di Afrin. Appena dopo la conquista dell’esercito turco e della bande jihadiste, il cimitero è stato devastato. L’intera regione di Afrin, per anni in pace sotto l’amministrazione di governo curdo a guida mista femminile-maschile, è preda di saccheggi, furti, rapimenti, uccisioni, torture, e stupri. Il repertorio completo delle barbarie che accompagnano una pulizia etnica. Come nelle regioni tenute dall’ISIS è iniziato anche il saccheggio e il commercio clandestino di beni archeologici.
Afrin ha accolto migliaia di rifugiati in fuga dai massacri di Aleppo. Ora una gran parte dei suoi abitanti sono ammassati nei campi profughi di Shahba a nord di Aleppo, nella piccola parte della regione di Afrin ancora sotto controllo dei Curdi. I pochi rimasti a Afrin e nei villaggi vivono nel terrore, mentre è in corso una drastico cambiamento della demografia. “Cambiare la demografia”, un modo asettico di definire una pulizia etnica. Tra i milioni di rifugiati dalla Siria, nei campi profughi pagati con 6 miliardi euro dall’EU, sono stati scelti coloro che dovevano ripopolare Afrin, appropriandosi di case e beni dei Curdi costretti a fuggire. Si può immaginare con quale criterio. Ai bambini negli autobus che li portavano a Afrin un peluche dato in regalo. Un peluche per annacquare la pulizia etnica. Ancora peggio, quando Ghouta e la sua regione sono stati ripresi dall’esercito siriano. I terroristi islamisti e le loro famiglie si sono uniti alla pulizia etnica di Afrin, trasportati dai bus turchi. Nel loro caso, è stato dimostrato negli anni l’uso di armi chimiche. Hanno avuto in premio un’abitazione ad Afrin e un nuovo progetto di regione islamica in cui valgano le regole della sharia.

Prima Afrin era terra di pace e di boschi di ulivi. Oggi di saccheggi e pulizia etnica.
Prima Afrin era governata da un uomo e una donna. Oggi il nijab è diventato obbligatorio per le donne.
Prima era una regione inter-confessionale. Ora gli Yazidi vengono minacciati di morte se non si convertono all’Islam. Quegli stessi Yazidi che hanno rischiato di essere sterminati dall’ISIS nella regione del monte Sinjar, nel nord dell’Iraq e che furono salvati solo grazie all’intervento delle forze curde del PKK. Quegli stessi Yazidi, presenti in minoranza nei villaggi della regione di Afrin, vengono costretti a rinnegare la loro religione zoroastriana. Quelle stesse donne Yazide, rapite e vendute come schiave a migliaia dall’ISIS, oggi sono rapite e stuprate nei villaggi di Afrin. Episodi isolati si dirà. Ma sufficienti a creare il terrore e a impedire ulteriormente il ritorno a casa dei legittimi residenti.

Gli USA hanno tradito i Curdi, solo flebilmente protestando, sull’altare dell’alleanza NATO con la Turchia. I Curdi neanche hanno potuto gridare al mondo questo tradimento. Hanno bisogno delle forze speciali USA (a cui si sono unite alcune decine di forze speciali francesi) come scudo a possibile invasioni dell’esercito turco e della bande jihadiste al suo seguito verso est. Manbij, sulla riva ovest dell’Eufrate, è nelle mire del Sultano e delle sue bande. La Russia anche ha tradito quando ha concesso lo spazio aereo siriano di Afrin all’aviazione turca, permettendo i sistematici bombardamenti che hanno portato alla caduta di Afrin.

Unico Paese, coerentemente (ma silenziosamente) a favore dei Curdi, è Israele. Ma è quasi un sostegno morale e culturale, più che reale. Ne è specchio l’aspra polemica tra un dittatore, Erdogan, e uno dei più spregiudicati presidenti che Israele abbia mai avuto, Netanyahu. L’enorme tristezza di ciascuno dei due che dà all’altro dell’assassino e del genocida.

L’Europa che ha toccato il fondo in cinismo e vigliaccheria. Timorosa dei milioni di rifugiati siriani ancora nei campi profughi turchi (che continuiamo a pagare) che potrebbero essere spediti verso di noi. Forse il peggior comportamento lo ha raggiunto la GB. Ha ospitato Erdogan in questi giorni e non ha neanche osato richiedere la restituzione del corpo di Anna Campbell, di una sua cittadina, uccisa dai bombardamenti dell’aviazione turca mentre difendeva la libertà di Afrin.

Il film sulle figlie del sole, sulle combattenti Curde, non ha vinto la Palma d’Oro a Cannes. Le forze curde del SDF hanno ripreso a fare gli “stivali sul terreno” degli USA, combattendo con successo nelle ultime aree ancora in mano all’ISIS. E sperano di non venire traditi nuovamente e dati in pasto a una nuova invasione turca e jihadista. Anche per questo hanno consentito nella provincia di Hasakah, in territorio del Rojava, una base aerea che gli USA starebbero costruendo. Le luci che illuminavano i cimiteri del Rojava si sono temporaneamente spente con la fine del giorno dei martiri. Quella luce rimane comunque accesa in tutto il Rojava, fiero e orgoglioso del suo esperimento di confederalismo democratico. Unificato anche dai suoi morti. Quella patria dei Curdi di Siria continua a esistere, a resistere e a combattere.

Non possiamo fare molto per aiutare chi (quanto meno) ci ha liberato dall’ISIS e dal suo tentativo di costruire uno stato del terrore. Non possiamo fare molto per aiutare chi ha perso tutto, terra, case, lavoro, beni e patria e si ammucchia in campi profughi di fortuna, con il terrore di una nuova invasione turca. Dall’Italia è partita una campagna internazionale di raccolta fondi per i rifugiati di Afrin, che ha già inviato 28 tonnellate di materiali (#SiAmoAfrin: https://www.retedeldono.it/it/progetti/gus/siamoafrin) e alla quale Zero Calcare ha disegnato il logo.
Questo, solo questo, forse lo possiamo fare.


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