Istat, Bankitalia, Ufficio Bilancio smentiscono Padoan. Il Def non va bene

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Minore intensità della crescita. Aumenta la povertà. Posti di lavoro: boom dei precari. Iva: urgente intervento, ma servono risorse

Di Alessandro Cardulli

Istat, Banca d’Italia, Ufficio parlamentare del Bilancio in audizione presso le Commissioni speciali di Camera e Senato, una lunga seduta per tracciare un quadro reale, se possibile, della situazione economica alla luce del Def, il documento di Economia e Finanza messo a punto dal ministero di cui è responsabile Pier Carlo Padoan il quale proprio il giorno prima aveva illustrato i contenuti del documento che dovrà essere inviato alla Commissione Ue. Documento, come più volte ripetuto,  che si limita a fotografare l’attuale situazione lasciando al governo che verrà, se e quando verrà, l’onore e l’onere di elaborare la legge di Bilancio. Padoan era stato rassicurante. Va tutto bene, i conti sono a posto, la situazione è sotto controllo, in particolare l’occupazione è aumentata grazie agli interventi effettuati in questa legislatura dal governo Renzi, prima, da Gentiloni poi, ma sempre lui ministro del Tesoro.  Aveva parlato di un milione di occupati in più, della situazione delle famiglie migliorata, grazie ai provvedimenti adottati, leggi bonus e avanti così a descrivere la crescita italiana, ormai inarrestabile. Certo bisognava andare con i piedi di piombo. La decisione di Trump sui dazi poteva avere influenza negativa sui mercati, l’aumento dell’Iva era meno temibile. Con la manovra di Bilancio si poteva porre rimedio, inglobando i 12 e poi i 19 miliardi necessari per coprire le clausole di salvaguardia.

Rischio di una manovra bis per mettere i conti in regola

Niente di tutto questo. Giorgio Alleva, presidente Istat, Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale di Bankitalia, Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio parlamentare del Bilancio, hanno fornito ai parlamentari, sia nelle relazioni che rispondendo alle domande dei deputati e dei senatori hanno fornito un quadro del tutto diverso da quello di Padoan. Vediamo. Si  prevede il rischio di una manovra bis per mettere i conti in regola e Alleva parla di “segnali di decelerazione che prospettano uno scenario di minore intensità della crescita”. Signorini conferma le stime sul Pil – nel 2018 +1,4% e nel 2019 e 2020 +1,2% – segnala che è “aumentato il rischio di una minore crescita, anche in relazione all’andamento osservato dell’economia e agli sviluppi nelle relazioni internazionali”. Giuseppe Pisauro parla di “evoluzione più moderata”.

Il quadro che viene fuori dalle audizioni segnala il fallimento della politica dei bonus, cavallo di battaglia di Renzi Matteo tornato ad occupare spazi televisivi con intervistatori compiacenti. Ce ne fosse uno che gli chieda: se i governi a firma Pd di cui lei era segretario hanno fatto tutto bene, perché mai gli elettori hanno punito il suo partito in modo così pesante? Ma gli scriba se ne guardano bene e Padoan sorvola sul fatto che, dice il presidente di Istat, aumentano gli italiani in assoluta povertà. Nel  2017 riguarda circa 5 milioni di individui, l’8,3% della popolazione residente, in aumento rispetto al 7,9% del 2016 e al 3,9% del 2008. Le famiglie in povertà assoluta, secondo stime preliminari, sarebbero 1,8 milioni, con un’incidenza del 6,9%, in crescita di sei decimi rispetto al 6,3% del 2016 (era il 4% nel 2008). Nel 2017 presso 1,1 milioni di famiglie italiane “tutti i componenti appartenenti alle forze di lavoro erano in cerca di occupazione”, pari a 4 famiglie su 100, in cui non si percepiva alcun reddito da lavoro, contro circa la metà (535mila) nel 2008. “Di queste – ha proseguito Alleva – più della metà (il 56,1%) è residente nel Mezzogiorno”.

Povertà e occupazione due volti della stessa medaglia che hanno segnato cinque anni di politica economica. Davanti alla Commissione, Alleva ha ammesso che l’aumento dei posti di lavoro è dovuto principalmente ad occupazione precaria. In particolare l’occupazione giovanile, che Padoan e Gentiloni, con Renzi che torna a farsi sentire, cercano di mascherare in una serie di numeri, Istat complice e media subordinati, “si caratterizza sempre di più per un’elevata incidenza di lavoratori a termine, che costituiscono circa un terzo dei lavoratori alle dipendenze e il 28,2% del totale dell’occupazione giovanile (31,1% per le donne)”. Rispetto al 2008, l’incidenza del lavoro a termine per i giovani “è aumentata di nove punti percentuali”.

Per evitare l’aumento dell’Iva servono maggiori entrate o riduzione della spesa

Per quanto riguarda il Pil la mancata sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, con l’aumento dell’Iva avrebbe un impatto sul prodotto interno lordo dello 0,1. Sui consumi interni sarebbe dello 0,2. Da Bankitalia viene un avvertimento, un “suggerimento” per Padoan o chi per lui. “Se si vuole evitare o contenere l’aumento dell’Iva – dice Signorini – e si è ugualmente determinati a imboccare la strada di una riduzione del debito visibile e significativa, bisognerà ricercare fonti alternative di aumento di entrata o riduzione di spesa”. Un no quindi alla sterilizzazione delle clausole in deficit come aveva suggerito il ministro. Per quanto riguarda la dinamica degli scambi internazionali, come previsto anche dal Fondo monetario internazionale, spiega Alleva, “influirebbe negativamente sulla crescita complessiva del sistema economico, determinando una diminuzione del Pil di 0,3 punti percentuali rispetto allo scenario base: le esportazioni registrerebbero un rallentamento significativo, diminuendo di 1,1 punti, le importazioni di 0,3 punti”.

Battuta d’arresto per le esportazioni verso gli Usa e la Cina. Il Sud più esposto

“Le tendenze più recenti – prosegue – evidenziano una battuta d’arresto per le esportazioni italiane verso gli Usa nei primi tre mesi del 2018”. L’Istat ha rilevato “un analogo rallentamento” anche verso la Cina, ma in questo caso le esportazioni hanno un peso inferiore, pari al 3% del totale. I settori in cui l’export italiano risulta particolarmente esposto sul mercato Usa sono gli autoveicoli e altri mezzi di trasporto (il 17,1% delle vendite all’estero nel 2017 è stato realizzato negli Stati Uniti), gli articoli farmaceutici, chimico-medicinali (16,1%), l’arredamento, gioielli e abbigliamento sportivo (12,2%), gli alimentari, bevande e tabacco (11,6%) e macchinari e apparecchi (9,3%). A livello territoriale è l’Italia meridionale ad essere più esposta con una quota delle esportazioni destinate agli Usa pari al 15%. Insomma il futuro non è proprio esaltante. Anzi.

Bankitalia: rischio liquidità per i paesi come l’Italia, molto indebitati

Da Bankitalia viene un invito pressante per la riduzione del debito pubblico. “I paesi molto indebitati – afferma Signorini – anche se fondamentalmente solvibili sono esposti al rischio di liquidità”. E ricorda che il debito pubblico italiano è “elevato”, inferiore nell’area euro solo a quello greco. Bankitalia non trova di meglio che suggerire di non toccare il sistema pensionistico. “È opportuno non indebolirlo – afferma il vicedirettore – è uno dei punti di forza della finanza pubblica” e assicura “una dinamica degli esborsi in complesso gestibili nonostante l’invecchiamento della popolazione”. In questo trova piena coincidenza con le posizioni sostenute da Padoan e dai governi Renzi e Gentiloni di cui ha fatto parte. Insomma, come al solito, a fare le spese delle difficoltà economiche sono i pensionati, gli anziani.

Upb rivede al ribasso le stime per la crescita. Nessun  rispetto per le normative Ue

L’Ufficio parlamentare per il Bilancio, rivede al ribasso la crescita dell’economia italiana per il 2018 rispetto allo scenario di marzo: l’aumento del Pil è stimato pari all’1,4 per cento, un decimo di punto percentuale in meno rispetto alla previsione precedente. “La correzione riflette principalmente una dinamica più contenuta dei consumi privati, penalizzati dall’erosione del potere d’acquisto indotta dal più elevato prezzo del petrolio”. Nel nuovo quadro Upb, essa presenta “un’espansione (+1,1 per cento) di un decimo più bassa rispetto allo scenario di marzo”, ha spiegato Pisauro. Poi si è soffermato  sulle ipotesi di governo per quanto riguarda il rapporto debito-Pil. L’impatto sarebbe più ampio rispetto alle valutazioni previste nel Def – 0,5 contro il -0,3%. L’effetto sul Pil sarebbe doppio e gli indicatori del rapporto debito-Pil “peggiorerebbero in modo rilevante”. “Nonostante la flessibilità concessa, si evidenzierebbe quindi un rischio di deviazione di -0,2 punti di Pil che dovrebbe comportare la necessità di una manovra aggiuntiva di 0,2 punti sul 2018”, afferma l’Upb, facendo  notare che “secondo le stime più recenti della Commissione Ue non vi sarebbe nessun aggiustamento strutturale nel 2018, evidenziando quindi il rischio di una deviazione pari a -0,3 punti, maggiore di quanto precedentemente stimato”.  Insomma i conti del Def non tornano. L’Upb afferma che “la regola numerica di riduzione del debito in rapporto al Pil non appare rispettata in base a nessuno dei criteri previsti dalla normativa Ue”.

Da jobsnews


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