Gli “amici” e i favori fra gli aranceti della Piana

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 di Giuseppe Baldessarro

“Mi piace zappare la terra”, perché zappare la terra “non è un mestiere, zappare la terra è un’arte”. La terra a Gaetano era sempre piaciuta, amava il suo profumo.
E non importava che terra fosse. Da bambino gli piaceva alzarsi presto e camminare in campagna sull’erba bagnata dalla brina notturna. Gli scarponi qualche volta si inzuppavano, e le gambe fino all’altezza del ginocchio diventavano più pesanti. D’inverno dai prati saliva quel respiro ghiacciato che in inverno fa diventare la terra pastosa e nera, mentre in estate quell’alito intimo diventava morbida frescura. Andare per i campi era come immergersi nel tempo.
Fino a metà primavera la vita ruotava attorno all’odore forte e acre delle olive, poi iniziava il lavoro che più lo appassionava e che lo portava a diventare tutt’uno con gli attrezzi e la terra: “Zappare la terra non è un mestiere qualsiasi, zappare è un’arte”.
Tanino lo chiamavano tutti a “fare” la campagna. Lo chiamavano perché era il più bravo, rapido e preciso con trattore. Nonostante fosse poco più che un bambino, quando finiva di lavorare sui terreni, gli ettari su cui passava sembravano tappeti pettinati dal vento. Non importava che si trattasse di terra piana o di un costone scosceso, che fosse uliveto o zolle buone per agrumi o cereali. Le regole erano sempre le stesse. Ma anche per zappare la terra bisognava dare conto “agli amici”.
Era così da sempre e lui si era adeguato. Spesso, oltre uno sentiero, superata una strada e in alcune contrade bisognava rinunciare a qualche lavoro. Alcuni terreni interessavano agli “amici”, certi poderi li controllavano “loro” e nessun altro poteva neanche sperare di zapparci sopra. Tanino era più bravo e faceva prezzi migliori, ma in certi posti non c’era spazio se non per gli “amici” e per gli “amici degli amici”.
Per i poderi più grandi “loro” stabilivano il prezzo e anche chi doveva dissodare la terra. A poco valeva l’opinione dei reali proprietari terrieri che, tutto sommato, preferivano stare tranquilli pagando qualcosa in più. Amavano sentirsi signori perbene, padroni generosi, in realtà erano costretti.
Di fatto erano padroni solo sulla carta di terra che era della “maffia”. “Amici”, già una parola ricorrente tra gli uliveti e gli agrumeti di clementine della Piana di Gioia Tauro. In quei luoghi anche il senso delle parole era storpiato, piegato a significati inediti, meschini, falsi. Gli “amici” erano quelli che davano gli ordini, gli “amici” erano quelli che prendevano tutto. Ma amici di chi?

( 4 – continua)


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