Morire come un insetto

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La vita media nei paesi sviluppati si è allungata. Per quelli che vivono in Europa o negli Stati Uniti d’America o in Giappone, raggiungere la terza età e oltre è normale. In Giappone l’aspettativa di vita è 83anni, in Islanda e in Svizzera 83, in Spagna, Liechtenstein e Singapore 82.Un lungo periodo che attraversa tutte le fasi della  crescita: infanzia, adolescenza, maturità.  

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In altri paesi,e soprattutto in Africa, non è così. L’aspettativa di vita è bassissima. Secondo i dati ufficiali l’aspettativa di vita in tutti i paesi dell’Africa subsaharaina è ben al di sotto dei 59 anni. Se l’aspettativa di vita media nel mondo è 71 anni (per i bambini nati nel 2013), per molti dei paesi africani, i bambini che nascono oggi, non raggiungeranno i 50 anni.

Qui si vive come degli insetti. La vita è troppo breve per avere il tempo apprezzarla. La propria e quella dei propri cari. Molti muoiono subito dopo la nascita o durante i primi mesi di vita. Altri quando sono ancora bambini o adolescenti. Per quelli che sopravvivono, la morte spesso arriva per cause che in altre parti del mondo appaiono sembrerebbero ridicole. Per il morso di una zanzara o per aver bevuto l’unica acqua disponibile pur sapendo che era impura. O anche solo per la mancanza di cure e assistenza.

Di questo si muore in Africa: di quello che non c’è. Prima ancora che di malaria, di colera o di altre epidemie arcinote (come quella del virus Ebola, di cui hanno paralto per mesi e mesi i giornali media di tutto il mondo).

Si muore per i pronti soccorsi che mancano, per i servizi medici assenti o fatiscenti o per la mancanza di un ambulanza quando serve per portare un malato in ospedale. E sempre che l’ospedale ci sia. In molti paesi africani tutto questo non c’è. E quando c’è non è sufficiente.

Allora si può anche morire. Sad Kijemba stava tornando a casa, dopo una giornata di lavoro. Una giornata cominciata e conclusa con un percorso di 200 km in autobus per le strade dell’Uganda. Ma a lui questo non importava. Il sorriso delle persone forse sarà poco per chi vive nei paesi “sviluppati”, ma a lui bastava. Appena sceso dall’autobus si è accasciato a terra ed è morto senza che nessuno potesse fare niente. Nel terminal dei bus mancava il kit di pronto soccorso. E non c’era un’ambulanza pronta a portarlo in ospedale.

L’unica cosa che hanno potuto fare i presenti è stato chiamare i parenti con il cellulare. Quello sì che funziona. Anche in Uganda, uno dei paesi più poveri del pianeta, dove manca di tutto, dall’acqua al cibo, dai pronto soccorsi agli ospedali. Ma dove, come in molti altri paesi simili, la rete di comunicazioni è sorprendentemente ramificata ed efficiente.

È così che si vive e si muore in questa meravigliosa parte del mondo dove i colori sono intensi come nessun pittore potrà mai rappresentare e la gente, quando ride, lo fa perchè è davvero felice. Una situazione molto diversa da quella dei paesi “sviluppati”.

Un paese dove i Millennium Goals, prima, e i Sustainable Development Goals, dopo, non hanno mantenuto le promesse fatte decenni fa. Molti dei problemi delle zone più povere del pianeta sono ancora lì. Non è un caso se anche i media ne parlano sempre di meno. E quando lo fanno riportano numeri, dati, percentuali, cose immateriali. Quasi mai parlano di persone.   

Persone come Kijemba, che viveva in Africa, un continente dove morire comeun insetto è più facile di quanto si possa immaginare. Ancora più facile che morire in una delle tante guerre di pace in giro per il mondo. Con la differenza che di quelli che muoiono in guerra, tutti ne parlano.

Quando si muore in Africa, invece, non  interessa a nessuno. Si muore e basta. Come quando muore un insetto.

Da dazebao


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