GIORNATE PER AHED. Arresto dei minori palestinesi e detenzione nelle carceri israeliane, impatto sullo sviluppo psico-fisico

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L’esperienza dell’arresto si sovrappone ad un’infanzia già resa difficile dall’occupazione. I bambini e minori vengono arrestati, giudicati e detenuti in base alla legge militare israeliana. Israele è l’unico paese al mondo che porta dei bambini di fronte ad una corte militare che non garantisce i diritti processuali di base.

Circa 700 Palestinesi con un’età media di 15 anni vengono arrestati ogni anno. L’accusa più comunemente sollevata è il lancio di sassi, un reato che nella legge israeliana è punibile con la carcerazione fino a molti anni, anche se si tratta di bambini di 12 anni. Ma spesso sono arrestati indiscriminatamente e tenuti in detenzione senza alcuna prova, sulla base delle informazioni dei soldati.

L’arresto e la detenzione sono devastanti per la personalità e lo sviluppo del minore. La realtà della detenzione è per loro una storia di orrore, impotenza edumiliazione. È usuale che decine di soldati armati, accompagnati da cani, invadano e devastino con fragore la casa di una famiglia nel mezzo della notte, svegliando nella paura la comunità intorno, per far capire che di fronte alla loro potenza ogni resistenza è inutile. Il padre del bambino viene picchiato ed è costretto con le minacce a consegnarlo ai soldati, nonostante le suppliche e le lacrime della madre e dei fratelli. Strappato in questo modo dalla sua famiglia, il ragazzo disorientato ed esposto alla violenza è trasferito verso una destinazione sconosciuta, senza che ai famigliari venga fornita una ragione. In genere è ammanettato e bendato, impossibilitato a comunicare con persone che si rivolgono a lui gridando in ebraico. È schiaffeggiato, preso a calci, pugni, spintonato mentre è legato e completamente impotente, privato della possibilità di assolvere i suoi bisogni fisiologici. Poi, è interrogato per ore, giorni o anche settimane, senza la presenza di un avvocato o di un genitore, privato del sonno, di cibo e bevande. E’ esposto a temperature estreme, costretto all’orrore di assistere alla tortura di altri prigionieri e denudato prima di essere soggetto allo stesso trattamento.

Durante gli interrogatori lo minacciano di colpire anche i membri della sua famiglia: “Porteremo qui tua madre e le tue sorelle” e “Demoliremo la tua casa.” La fantasia del bambino viene spinta ad immaginare ogni orrore mentre viene minacciato perfino di stupro.  Ai più giovani spesso viene detto che i loro amici o vicini di casa li hanno già informati su di loro e, di fronte a questa bugia, molti si scoraggiano e finiscono per firmare documenti scritti in ebraico  che non sono in grado di leggere e capire.

Spesso vengono posti in isolamento, all’interno di un ambiente ostile, dove il procedere del tempo e della vita sono congelati e ogni legame umano viene distrutto, perché raramente le famiglie riescono ad ottenere il permesso di visitare i propri figli.

L’arresto dei minori tende alla distruzione del futuro della nazione palestinese. È un attacco contro il corpo, la personalità, il sistema di valori, le speranze e i sogni dei giovani palestinesi, che mira a spezzare le loro famiglie e rompere i legami con la loro comunità.

Colpendo minori e bambini, cioè le fasce più vulnerabili delle comunità, si vuole esercitare una pressione sui loro familiari e sull’intera comunità per porre fine alle mobilitazioni. Un’altra finalità è quella del reclutamento dei minori come informatori affinché forniscano notizie sui leader delle rivolte e su altri minori che partecipano alla manifestazioni. L’esperienza del carcere resterà impressa nella mente del minore in modo indelebile.

La terribile situazione dei minori palestinesi nelle carceri israeliane è stata denunciata da organizzazioni internazionali, palestinesi e israeliane. Anche l’UNICEF ha più volte descritto i maltrattamenti cui sono sottoposti come “diffusi, sistematici e istituzionalizzati” e ha accusato il sistema giudiziario militare israeliano di applicare “trattamenti crudeli, inumani e degradanti.”

Speriamo che Ahed, vista la notorietà raggiunta dal suo caso, non debba vivere l’orrore descritto. Anche grazie a lei vogliamo aprire uno squarcio sulla condizione dei minori e delle minori palestinesi.

*Rete Romana di Solidarietà con il popolo palestinese


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