Immigrazione, il ritorno dei tunisini che “bruciano la frontiera”

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Dal Nord Africa si continua a partire alla volta dell’Europa, si continua a morire nel Mediterraneo centrale.

Dopo alcuni mesi di apparente tranquillità, segnati da un calo significativo degli sbarchi (nel periodo tra gennaio e ottobre sono arrivate in Italia via mare 111.397 persone, il 30% in meno rispetto allo stesso periodo del 2016, secondo i dati forniti dall’UNHCR), alcuni drammatici eventi di cronaca hanno spostato nuovamente l’attenzione su quanto accade nel Mediterraneo centrale.

Mentre diminuisce il numero di arrivi, cresce, in percentuale, quello dei morti. Infatti, sempre nei primi 10 mesi di quest’anno 2.809 persone sono morte o disperse nel Mediterraneo e 34 in soli due giorni, tra il 3 e il 4 novembre, a causa dei naufragi al largo delle coste libiche.

Erano 26, tutte giovanissime e di origine nigeriana, le donne giunte a Salerno a bordo della nave della marina militare spagnola Cantabria: 26 salme avvolte in dei sacchi neri. Sono morte annegate, mentre cercavano di raggiungere l’Europa su due instabili gommoni. Il giorno successivo è stata la nave della Guardia costiera italiana Diciotti a far sbarcare, nel porto di Reggio Calabria, altri otto corpi senza vita: tre di loro erano bambini.

È ripresa a pieno ritmo anche l’attività delle poche ONG che sono rimaste attive nel Mediterraneo, e le operazioni sono sempre più drammatiche e pericolose come testimonia, a Internazionale, Madeleine Habib, coordinatrice delle operazioni di Sos Méditerranée a bordo della nave Aquarius: “Il 1 novembre ha condotto quattro operazioni in 18 ore: un trasbordo e tre salvataggi. Un’operazione è stata particolarmente drammatica. Prima che la nostra lancia di salvataggio arrivasse sul posto, l’imbarcazione si è sgonfiata e le persone hanno cominciato a saltare in acqua. Anche se abbiamo fatto tutto quello che potevamo, non potremo mai essere sicuri che tutti siano stati salvati.

Così come il dolore è rimasto impresso nella mente di Gennaro Guidetti, volontario per la ong Sea-Watch, protagonista di un altro episodio nel Mediterraneo: come se non bastasse la testimonianza del comportamento della guardia costiera libica che picchiava i migranti e si è rifiutata di rispondere ad un comando della Marina italiana, l’immagine di un addio, quello tra marito e moglie, l’uno appeso ad una corda legata alla motovedetta libica, l’altra al sicuro sul gommone, è forse quella che più di tutte racconta il dramma umano di quanto accade nel Mare NostrumContinua su vociglobali


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