Di Vittorio e il lavoro come dignità dell’uomo

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Sessant’anni dalla scomparsa di Giuseppe Di Vittorio, il “cafone” orfano di padre di Cerignola divenuto segretario della CGIL e presidente della Federazione Sindacale Mondiale negli ultimi anni di una vita spesa interamente al servizio degli ultimi e dei deboli.
Il lavoro come dignità dell’uomo: questa era la sua bussola, il suo principio guida e il suo orizzonte.
Il lavoro sfruttato, umiliato e calpestato da un padronato squallido e sempre più aggressivo e violento nei confronti delle classi subalterne: una vergogna contro cui il giovane Di Vittorio si batté con tutte le forze, patendo per questo sofferenze indicibili, compreso il carcere, prima di essere eletto in Parlamento alla vigilia dell’avvento del regime fascista.

Oppositore strenuo di Mussolini, fu protagonista, in Spagna, della battaglia delle milizie repubblicane contro la barbarie perpetuata dalla Falange franchista, prima di rientrare in Italia e ricostituire il sindacato unitario insieme a due persone straordinarie come Bruno Buozzi (fucilato dai nazisti alla Storta, nei pressi di Roma, il 4 giugno 1944) e Achille Grandi, salvo poi dover assistere, con immenso fastidio e dispiacere, alla rottura dell’unità sindacale, in seguito allo sciopero generale proclamato dalla CGIL dopo l’attentato del 14 luglio 1948 ai danni di Togliatti.
Tenne sempre alta la bandiera della libertà, opponendosi in gioventù allo scempio stalinista della dichiarazione di “socialfascismo” ai danni dei compagni socialisti e un anno prima di morire all’orrenda repressione sovietica all’indirizzo dei lavoratori ungheresi: due orrori difesi da Togliatti e dai vertici del PCI che, purtroppo, specie nel secondo caso, privarono quel soggetto politico della credibilità necessaria per guidare il Paese.
Giuseppe Di Vittorio, sessant’anni fa. Lo ricordiamo in un’Italia cambiata in peggio, nella quale il lavoro ha smarrito ogni dignità, ogni valore, ogni diritto e persino il proprio ruolo essenziale nella  costruzione della persona e nell’inclusione della medesima all’interno del contesto sociale.

Lo ricordiamo con il dolore di una resa collettiva alla quale, per rendere un omaggio concreto alla memoria di quest’uomo eccezionale che si formò una cultura da autodidatta, non possiamo e non dobbiamo arrenderci.

P.S. Ricorre oggi il trentesimo anniversario dalla nascita di Slow Food: Carlin Petrini è un altro di quegli uomini capaci cambiare il mondo o, quanto meno, di renderlo migliore. A lui e alla sua organizzazione tutta la nostra stima e la nostra gratitudine.


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