Napoli premia i Bardem: una famiglia tra cinema e impegno

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L’attore spagnolo Carlos Bardem, ospite in città per ritirare il Premio Pimentel Fonseca  (lunedì 18 settembre, alle 20, nella Basilica Santa Maria del Carmine Maggiore di Napoli) assegnato alla madre Pilar Bardem, ha visitato il Palazzo delle Arti di Napoli | PAN, dove è custodita la Mehari di Giancarlo Siani, simbolo di Imbavagliati, Festival Internazionale di Giornalismo Civile, ideato e diretto da Désirée Klain, che si terrà dal 20 al 24 al Palazzo delle Arti di Napoli | PAN.

“Posso dire che se qualcuno muore per i suoi ideali e per aver esercitato bene il suo lavoro, non so in che tipo di società viviamo – dice l’attore mentre legge la storia del giornalista napoletano ucciso dalla camorra nel 1985 – se taci e chini il capo non ti succede nulla, ma se cerchi di raccontare la verità potresti cadere in qualcosa di simile, ciò dovrebbe farci riflettere sul concetto di democrazia e se noi stiamo vivendo una democrazia reale o fittizia, io credo che sia fittizia”.

Una famiglia tra cinema e impegno quella dei Bardem. Da sempre a fianco del popolo Saharawi, nel 2012 la famiglia Bardem si batte per l’autodeterminazione della popolazione del Sahara occidentale. A portare, nel corso della premiazione, la testimonianza del sostegno della madre a numerose cause sociali sarà il genio letterario della famiglia Bardem, Carlos, che in più di un’occasione, insieme al fratello minore Javier (produttore “Hijos de las nubes. La última colonia”, documentario sulle condizioni dei campi profughi Saharawi), ha sollecitato un intervento del governo spagnolo nella lotta dei vicini Saharawi. Vincitrice del Goya come migliore attrice non protagonista per il film “Nadie hablará de nosotras cuando hayamos muerto”Pilar Bardem presiede la fondazione spagnola AISGE (Artistas Intérpretes, Sociedad de Gestión), che si occupa di tutelare i diritti della proprietà intellettuale degli attori. Nel corso della sua carriera ha prestato il volto e dato appoggio a innumerevoli manifestazioni per la difesa dei diritti delle donne e per la lotta contro la guerra e il terrorismo.

“Quando ero ragazzino – spiega Carlos Bardem – non capivo perché, nonostante non fossimo ricchi, mia madre ogni giorno conservava un po’ di soldi per il popolo Saharawi. Lei ha insegnato a tutti i suoi figli ad essere liberi e volere la libertà degli altri, perché la libertà individuale è egoismo puro e quella vera si raggiunge solo dall’uguaglianza e la giustizia sociale. Io e i miei fratelli siamo cresciuti comprendendo chi erano i Saharawi, chi erano i rifugiati, i disoccupati. Con mio fratello Javier concordiamo che l’unico senso della fama è prestare la voce a chi non ha voce, a quelli a cui negano una voce. La grande arma contro il popolo Saharawi è il silenzio, è il fatto che nessuno parla mai di loro. Quello che possiamo fare nel nostro piccolo è parlare. Mia madre iniziò il suo percorso solidale in maniera intuitiva fin da giovane, frequentò un collegio di suore dove ebbe modo di incontrare una religiosa che le fece conoscere la parte più povera della Madrid del dopoguerra. Nonostante la sua giovane età andava nei quartieri più poveri di Madrid per dare aiuto. Lei ha sempre cercato di essere molto attiva per la società e non le piace che la chiamino attivista, poiché non dedicandosi professionalmente all’attivismo non si definisce tale. Si considera piuttosto una ‘cittadina attiva’. È sempre stata in prima linea in tutte le manifestazioni ed anche in tutto ciò che riguardasse la giustizia sociale. La lotta del popolo Saharawi per lei è un argomento molto intimo, mia madre nel cuore è una Saharawi e qualsiasi persona appartenente a questo popolo potrà dirvi che Pilar Bardem è una Saharawi. Noi potremmo aiutare queste persone che non hanno nulla donando loro un po’ della nostra ricchezza”. 

Nella sede dove si terrà da mercoledì a domenica “Imbavagliati”, il Festival che promuove la libertà di stampa, l’interprete di “Alacràn Enamorado”, autore anche della sceneggiatura, dice: “Il giornalismo dovrebbe essere libero, incontaminato, non dovrebbe subire la violenza della censura, come succede a molti giornalisti dell’America Latina. Il giornalismo è sottoposto ad un’altra forma di censura molto dura che è la censura economica, la censura che non ha nessuna forma di libertà, quel fenomeno che interessa specialmente i grandi mezzi di comunicazione e ciò succede specialmente in Spagna e in Italia. Il giornalismo è necessario, è uno dei pilastri più importanti della democrazia e della libertà, esso fa sì che tutto ciò si attui poiché noi abbiamo bisogno di sapere la verità. È un po’ ciò che è successo a me quando prima di venire qui avevo bisogno di raccogliere informazioni su questo luogo e su Eleonora Pimentel Fonseca, che mi ricorda molto un’eroina spagnola di nome Mariana Pineda, che come la Fonseca lottò contro l’assolutismo borbonico in Spagna nel IX secolo. Queste due donne si sollevarono contro il potere assoluto e tirannico del tempo e io credo che sia proprio l’epoca che crea questo tipo di personaggi. In Spagna e in Italia, e in tutta Europa, sono state donne come loro che si sono sollevate per ottenere la libertà con il doppio merito di essere delle donne in una società di uomini. Se oggi è difficile essere donne possiamo immaginare come sia stato essere una donna nel IX secolo e quanto sia stato difficile lottare e creare giornali per diffondere sempre di più quel lontano concetto di libertà e credo che noi come essere umani abbiamo bisogno di questo tipo di persone”. Il “Premio Pimentel Fonseca”, alla sua terza edizione è promosso dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli e dall’Istituto degli studi Filosofici di Napoli, in collaborazione con l’associazione “Periferie del mondo – Periferia immaginaria”, e fa da prologo a “Imbavagliati”. Dedicato alla memoria della patriota e giacobina napoletana Eleonora Pimentel Fonseca, fondatrice del giornale “Monitore Napoletano”, il riconoscimento, conferito lo scorso anno all’attivista per i diritti del popolo Saharawi, Djimi Elghalia, rende omaggio all’impegno e al coraggio delle donne che si sono distinte nella professione giornalistica e nel mondo dell’attivismo. Testimonial della serata Eugenio Bennato, che, nel corso della cerimonia, riproporrà “Donna Eleonora”brano raramente eseguito in pubblico, scritto nel 1999 proprio in onore della rivoluzionaria Pimentel Fonseca, in occasione del duecentesimo anniversario della sua esecuzione in piazza del Mercato, il 20 agosto del 1799, insieme ad altri martiri della Rivoluzione. Con il cantautore interverranno: l’ensemble vocale Le voci del Sud, con l’interpretazione di “Per un Brigante” (omaggio a Carlo D’Angiò), e la cantante e attrice Anna Capasso (ambasciatrice Unicef per l’Italia), che eseguirà un repertorio della musica classica napoletana. L’accoglienza degli ospiti, in abiti storici, è curata dagli attori e registi Roberta D’Agostino Gianni Sallustro, con l’Accademia Vesuviana del Teatro. Gli abiti sono creazioni del costumista Costantino Lombardi. Parteciperanno: Nino Daniele (assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli), Massimiliano Marotta (presidente Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Titta Fiore (caporedattore spettacoli de “Il Mattino”), Ottavio Lucarelli (presidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania), e Claudio Silvestri(segretario del Sindacato Unitario dei giornalisti della Campania).
L’iniziativa è promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Napoli in collaborazione con laFondazione Polis della Regione Campania, e realizzata nell’ambito del «Napolinfest- Naviganti, Eroi, Poeti e Santi della Città», progetto diretto da Luigi Necco e cofinanziato dalla Regione Campania con fondi del Programma operativo complementare (POC) 2014 – 2020. Gode dell’alto patrocinio di Amnesty International Italia, del Comitato Regionale Campania per l’Unicef Onlus e dell’Ordine dei Giornalisti della Campania.

Foto di Stefano Renna e Roberta De Maddi


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