Aiutati noi a casa loro. Epilogo (Diario dal Senegal – 6° giorno)

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Abbiamo lasciato Tambacounda in mattinata per andare ancora nella zona dei villaggi più a sud:  il paesaggio è sempre più povero di cemento e ricco di vegetazione. Dobbiamo raggiungere il parco nazionale Niokolokoba, attraversato dal fiume Gambia. Per arrivarci giriamo intorno all’omonimo stato che si insinua come una lama in mezzo al Senegal. Il Gambia è un’ ex colonia inglese e dunque uno stato anglofono: dall’inizio del 2017 tormentato da una situazione politica instabile. I confini con il Senegal,  l’ex colonia francese e francofona, non sono considerati sicuri per i turisti. Qui infatti dopo giorni, incontriamo i primi posti di blocco militari. A noi basta dire chi siamo per poter ripartire tranquillamente. Siamo stati registrati alla partenza. Da queste zone infatti partono numerosi migranti e profughi provenienti dai paesi limitrofi. Dal Gambia, attraversando il fiume con una barchetta o una piroga, si passa per il parco e ci introduce in Senegal dove poi i trafficanti organizzano i viaggi a gruppi: ci sono maliani, gambiani, ivoriani, guineani e ovviamente senegalesi del Sud. Per questo chi non è registrato non è autorizzato a entrare nel parco e soprattutto ad uscire.
Più si va a Sud in Senegal più le comunità nei villaggi sono povere in mezzo ad una vegetazione che nella stagione invernale è rigogliosissima. Si vive di quello che da la terra, non c’è elettricità se non attraverso i generatori accesi a orari. Nelle capanne del nostro villaggio turistico la erogano solo dalle 19 a mezzanotte. I contadini coltivano come i nostri avi nei primi del 1900. Il pane si fa al forno con la legna.

Wassadou è uno di questi villaggi dove incontriamo l’unico abitante che non rifiuta di parlare davanti le nostre telecamere. Si chiama Dudu è cristiano, ha 35 anni parla francese e un po’ di inglese. Se  il raccolto va bene, ci dice, facciamo  40 – 50 mila franchi al mese: circa sessanta euro. Sennò non si mangia.
“Dove sono i fondi europei per l’Africa? Io sento le notizie in TV, parlano di miliardi per lo sviluppo della nostra economia. Ma qui nei nostri villaggi non arriva niente ”
Dudu è uno sveglio, si vede: ci racconta dei suoi amici che sono scappati per andare in Europa, dei tre che sono morti prima di arrivarci: uccisi in Libia. E di un altro che aveva messo da parte dei soldi peri il viaggio e, quando è arrivato il Libia, è stato picchiato e derubato di tutto.  È riuscito a tornare indietro ma del tutto fuori di testa e ormai considerato un povero pazzo.
“Io voglio che la mia gente resti qua che non vada a morire o torni più povera di prima …Io voglio costruire un’associazione per tenere i miei fratelli qui per fargli lavorare la terra. Qui abbiamo tutto ma non abbiamo i mezzi. Se solo li avessi …”
Sembra quasi un segno del destino l’incontro con Dudu. Il presidente dell’Associazione Don Bosco ci aveva infatti parlato dell’idea di cercare anche agricoltori della zona per insegnare loro a coltivare con mezzi meno antidiluviani per avere un raccolto degno della potenza di questa terra.
Decidiamo così di portare Dudu al nostro accampamento e di presentarlo al gruppo. L’incontro va a gonfie vele: Agostino e gli altri sono entusiasti della mia scoperta. Solo che è tempo di andare. Dobbiamo ritornare lentamente indietro verso nord. Prima però il gruppo vuole vedere la terra di Dudu per capire cosa può servire per farla fruttare.

Caricato il pulmino di tutti i bagagli e dei passeggeri, ci avviamo dentro campi di granturco. I contadini lavorano con gli asini. Alcuni sono vestiti di un unico mantello poggiato su una spalla, altri con tuniche colorate. I bambini e le donne aiutano. L’affare con Dudu si farà ha tanta terra ma ha bisogno di irrigarla con mezzi moderni. Possiamo partire….solo che … Ad un tratto il nostro pulmino si blocca,  impantanato in mezzo al nulla più assoluto. Tempo dieci secondi e ad aiutarci arrivano tutti i contadini della zona. Spalando mota per quattro ore, uomini e donne, alla fine ci tirano fuori con un trattore tra le urla dei grandi e anche dei bambini che ci avevano osservati per tutte quelle ore. Si parte dunque piano piano verso nord. Si va lentamente verso l’aereo che ci porterà a casa nostra. Ma non avremmo potuto farlo senza il loro aiuto, a casa loro.

Angela Caponnetto, giornalista di Rainews si occupa da lungo tempo dei temi dell’immigrazione. Ha raccolto le storie dei migranti subito dopo che qualcuno gli ha teso la mano in mezzo al mare, ha documentato gli sbarchi, li ha seguiti e ascoltati nei centri di accoglienza, filmando il meglio e il peggio della loro seconda vita nel nostro paese. Ora è inviata in Senegal per raccontare l’origine di questo esodo. Ad Articolo 21 manda il suo diario di viaggio

Casa loro. Se vogliamo la nostra Europa è qua

Diario di viaggio dal Senegal (5° giorno)

Casa loro. Prima di dare un pesce a qualcuno insegnagli a pescare (diario dal Senegal. 4° giorno)

Tambacounda (diario dal Senegal. 3° giorno)

A casa loro. Dakar/Tambacounda (diario dal Senegal. 2° giorno)

In viaggio verso casa loro (diario dal Senegal. 1° giorno)


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