Il terremoto un anno dopo. Gli errori che si potevano evitare. Ignorate le conoscenze di chi vive nel territorio     

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Quando un forte terremoto scuote e demolisce le case isolate e i centri storici dell’Appennino (la nostra zona “rossa” per eccellenza), bisogna essere chiari e concreti: a) una vera e propria ricostruzione “in sicurezza” esige dai tre anni in su; b) il ricovero negli alberghi della riviera deve essere limitato nel tempo altrimenti le comunità locali si sfilacciano; c) occorre subito predisporre case prefabbricate robuste e coibentate, per il caldo e il gelo, e dare ad esse forme di villaggio con scuole fin dove è possibile e attività commerciali.

E’ stato fatto tutto questo ad Amatrice e dintorni? In parte, ma non con la decisione, con la chiarezza necessarie, sull’esempio di terremoti non lontani nel tempo, per esempio quello umbro-marchigiano del settembre 1997 con assai meno morti per fortuna e però vere e proprie città investite in pieno, da Assisi fino a Urbino. Comunità più forti di quelle squassate nel fine agosto 2016 e però anche più assistite da un governo (quello guidato da Romano Prodi, sui vice Walter Veltroni ministro per i Beni culturali) con uomini esperti e più mezzi, tecnici e finanziari.

Nel 1997 la direttiva del direttore generale Mario Serio fu esplicita: puntellare subito tutto quanto si poteva a partire dalla Basilica Superiore di San Francesco in Assisi che minacciava di scivolare a valle. Si chiamarono persone di grande esperienza come Antonio Paolucci, Bruno Toscano, Maria Luisa Polichetti, Marisa Dalai. Alcune con alle spalle l’esperienza del Friuli (1976-77) dove le comunità locali avevano voluto con forza una ricostruzione il più possibile “com’era e dov’era”. Per Assisi vennero subito chiamati strutturisti come Giorgio Croci e Paolo Rocchi capaci di ingabbiare San Francesco in una foresta di tubi d’acciaio. A Montefalco il sindaco chiese alla coop di restauratori che già operava in loco di puntellare la favolosa abside di Benozzo Gozzoli senza nemmeno attendere la Soprintendenza. Appalti per queste foreste di tubi d’acciaio? “Li prendemmo dove li trovammo subito”, ha commentato Antonio Paolucci.

Ad Amatrice e dintorni è successo qualcosa di paragonabile? Purtroppo no. Un errore marchiano che ancora pesa. Eppure il direttore generale del Mibact Antonia Pasqua Recchia era sul posto il 28 agosto. Eppure il premier Matteo Renzi accorse subito. Ma la prima non diede direttive esplicite e il secondo, detestando le Soprintendenze, le lasciò in ombra. Ecco cosa scrissero 138 abitanti di Amatrice mesi dopo al ministro Franceschini: puntellando subito i monumenti lesionati il 24 agosto, “si poteva salvare la torre medioevale della chiesa di Sant’Agostino, simbolo della città, crollata miseramente sotto i nostri occhi il 18 gennaio, il successivo 29, anche la parete orientale, è venuta giù insieme a parte della facciata, si poteva preservare la maestosa chiesa di San Francesco dal definitivo collasso della sua struttura (…), si poteva salvare la chiesa-santuario di San Martino, Sant’Antonio Abate di Cornillo Nuovo, Sant’Emidio sede del Museo Civico <<Cola Filotesio>> uno degli edifici più antichi della città”. La ferita forse più sanguinante: essere “stati tenuti fuori da qualunque iniziativa da parte del Ministero (…) Si è ignorato il nostro patrimonio di conoscenza capillare del territorio e delle persone che vi abitano”.

Loro ignorati e il personale delle Soprintendenze costretto ad agire con pochi mezzi. Un altro settore importante trattato in modo lacunoso: quello zootecnico. Era proprio impossibile avere una carta degli allevamenti sparsi per i monti per rifornirli, intanto,  di foraggi e per avere una mappa delle stalle e delle case prefabbricate da insediare sui monti prima della neve, dopo che allevatori e pastori avevano assicurato di rimanere? Matteo Renzi ha cominciato a parlare di “archistar” spiazzando la concretezza del commissario straordinario Vasco Errani che peraltro aveva operato in tutt’altro contesto, cioè nella pianura emiliana altamente industrializzata.

Di qui incertezze e ritardi anche considerevoli. In luglio uno studio del Censis per la Fondazione Merloni ha fornito linee-guida che vanno ben al di là dell’emergenza post-terremoto nelle Marche. Governo e Regioni dovrebbero leggerlo. Se solo avessero ristudiato il post-terremoto 1997 in Umbria-Marche, oggi le macerie, dove sono rimuovibili, sarebbero state rimosse, le stalle sarebbero operanti da mesi come i villaggi prefabbricati. Purtroppo questo è un Paese che poco o nulla riflette sul passato anche quando può dare insegnamenti positivi in una materia tanto complessa. Promettere la ricostruzione “in sicurezza” a breve termine è pura demagogia, ma rallentarla alimenta una protesta aspra e indifferenziata. Sulla quale soffia, diciamolo, una informazione emotiva che ignora gli esperti  veri e i “precedenti storici” oggettivi.

Fonte: “Tirreno” e altri quotidiani Gruppo ESPRESSO, 15 agosto 2017 


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