Coro Ratisbona. Zollner: Chiesa ha fatto luce su una realtà dolorosa

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Chiamati i ‘passeri del Duomo di Ratisbona’, tra i Cori di voci bianche più antichi del mondo, con una storia di oltre mille anni, macchiata ma anche emendata dalla drammatica verità emersa nel rapporto presentato ieri alla stampa, dall’avvocato Ulrick Weber, incaricato dalla diocesi tedesca di fare luce sullo scandalo degli abusi perpetrati per decenni, dal 1945 ai primi anni ’90, nella Scuola frequentata dai piccoli cantori.

Ben 547 le vittime che hanno raccontato di avere subito violenze fisiche, corporali e piscologiche, di cui 67 anche abusi sessuali. Il rapporto ha individuato 49 imputati dei maltrattamenti corporali, di cui 9 avrebbero commesso anche abusi sessuali. Si tratta di preti e personale docente e non docente laico della Scuola. Ma le prime denunce pubbliche sono arrivate nel 2010. Troppo tempo dai fatti delittuosi perché i colpevoli possano essere oggi assicurati alla giustizia: i reati sarebbero infatti caduti in prescrizione. Maresta il dolore dei bambini di allora, che oggi adulti hanno descritto la scuola come “una prigione, un inferno, un campo di concentramento” e parlato degli anni trascorsi in quella struttura “come i peggiori della loro vita, caratterizzati da paura, violenza  e mancanza di aiuto”. Per ognuno di loro la diocesi ha stabilito un indennizzo fino a 20 mila euro.

Il rapporto chiama in causa anche mons. Georg Ratzinger, fratello di Benedetto XVI, direttore del Coro per 30 anni, e il cardinale Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Ratisbona nel 2010, il primo non avrebbe colto i segnali di disagio degli abusi e il secondo non avrebbe reagito con decisione allo scandalo.

Padre Hans Zollner, teologo e psicologo gesuita tedesco, nativo di Ratisbona, presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana, esprime soddisfazione su come oggi è stato trattato questo scandalo, alla luce del sole e senza paura della verità.

Questa volta la verità, per quanto dolorosa e scandalosa, su una storia di abusi su minori perpetrati per decenni in un’istituzione cattolica è venuta proprio dalla Chiesa, certo, dopo le denunce delle vittime…

R – Sì, è stata la volontà del vescovo della città di Ratisbona, la mia città nativa, che ha dato l’incarico ad un avvocato a cui ha offerto tutte le possibilità non solo di consultare gli archivi ma anche di contattare le vittime e di parlare con altre persone coinvolte. Quindi c’è stato il coraggio del vescovo di fare luce in un buio veramente molto profondo.

Bisogna dire che l’avvocato Weber ha raccolto questo incarico con grande rigore e serietà di indipendenza

Lui aveva tutti gli strumenti per indagare, aveva mano libera ed ha lavorato molto rigorosamente, con anche un comitato di consiglieri scientifici. Dunque ha prodotto veramente un rapporto molto ben fatto e ineccepibile nella sua vastità, nella sua profondità e anche nella sua scientificità.

Sicuramente questo rapporto segna un cambiamento nel modo di affrontare il male quando si insinua anche all’interno della Chiesa…

Ovviamente dobbiamo fare questo, dobbiamo vedere in faccia la realtà e dobbiamo affrontare tutte le ingiustizie, i peccati, i crimini che sono stati commessi da parte di sacerdoti e anche da altri impiegati della Chiesa. Ad esempio, in questo caso di Ratisbona, c’erano anche molti educatori laici del liceo impiegati nell’internato di questa scuola, che hanno abusato con violenza fisica e anche sessuale dei ragazzi.

L’avvocato Weber punta il dito anche sulle responsabilità dei genitori che non avrebbero dato giusta attenzione e peso ai racconti dei figli e anche punta il dito sulle autorità dello Stato che sono state latitanti nelle ispezioni scolastiche e quindi non hanno in realtà tutelato l’infanzia come richiesto loro…

Sì, ma i genitori avevano anche un grande orgoglio di inviare i loro figli a questa scuola prestigiosissima, con la possibilità che diventassero dei grandi musicisti, che potessero fare il giro per il mondo… Da noi a Ratisbona questo liceo era considerato veramente una ‘stella’ e quindi avere un figlio lì e poterlo formare là era l’orgoglio della famiglia. Poi anche lo Stato, certo, gli uffici di sovrintendenza per la educazione e la scuola – dobbiamo dire – che, sì, hanno chiuso gli occhi, hanno chiuso le orecchie e non hanno fatto il loro dovere. Ma è difficile anche giudicare come pensiamo oggi la cosa, perché in quell’epoca probabilmente alcune di queste persone consideravano come un fatto normale che si schiaffeggiassero ancora i ragazzi, anche se questa non era più l’usanza abituale, già dalla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70. Ma io mi ricordo che nella mia scuola primaria c’erano due ragazzi che mi raccontavano che da bambini erano stati picchiati in quella scuola: io lo sapevo, suppongo che i loro genitori anche lo sapessero; e quindi si percepiva che questo non era giusto ma non c’era ancora la sensibilità necessaria e sufficiente per pronunciarsi anche pubblicamente, per denunciare la cosa e seguire le leggi perché certamente questi reati in quell’epoca sarebbero stati già denunciabili.

Quindi si evince che una condanna principale va proprio alla cultura del silenzio. Lei come giudica questa pubblicità che si è voluta dare presentando questo rapporto direttamente alla stampa, che poi ha fatto sì che questa notizia sia sulle prime pagine di tutti i giornali nel mondo?

Questo è un passo molto importante, anche per la sensibilizzazione di tutta la società e per tutte le istituzioni sia della Chiesa sia fuori dalla Chiesa, perché in una istituzione si possono fare tante cose che possono prevenire l’abuso. Ad esempio, nella scelta del personale educativo e non educativo, nella educazione e formazione di queste persone che lavorano con i ragazzi: che siano persone sane, che siano persone anche equilibrate e che sappiano cosa è una trasgressione delle loro competenze e una trasgressione in termini di violenze che non sono solo inammissibili ma sono anche reati criminali.


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