Sanità romana, The Horror Picture Show

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Non c’è reportage più efficace per descrivere le lacune del sistema sanitario, di quello testato sulla propria pelle. Un’odissea durata anni. Visitando ospedali a regime convenzionato ridotti al lumicino come il Cristo Re, dirimpettaio di un Gemelli che, forte dei sovvenzionamenti vaticani e degli esborsi a regime privato, sventola il lusso di reparti modello, oltre a un pronto soccorso ultra-tecnologico. La costante è sempre la stessa: per assicurarsi la tempistica necessaria di esami cruciali ai fini di accertare patologie gravi, bisogna pagare, e salato.

Altrimenti i tempi di attesa sono kafkiani. Il termine intramoenia definisce sulla carta “Le prestazioni erogate che garantiscono al cittadino la possibilità di scegliere il medico”.

E i tempi. In concreto, un ricatto implicito: se vuoi accedere a un esame con l’impegnativa pagando solo il ticket, rassegnati ad aspettare un anno e oltre. 

Se invece paghi la tariffa piena, che di solito è il triplo, domani il posto c’è.

Lorenzin docet

Una delle tante chicche nelle quali mi sono imbattuto lungo il tour di check-up, riguarda esame HIV; al reparto analisi dell’ospedale S. Spirito, hanno richiesto impegnativa e il pagamento del ticket di 25 euro. Spulciando sul sito del Ministero della Salute, emerge al contrario che il test dovrebbe essere gratuito ovunque, e senza necessità d’impegnativa.

Tale info è datata 2013. Gratuità del test HIV – #AF8B61 Sempre riguardo virus Aids, un altro paradosso che persiste nella routine pre-intervento, è quello di non inserire il test della sieropositività all’interno delle analisi sangue prima del ricovero, esponendo a inutili rischi medici e personale in sala operatoria.

Il test è gratuito e senza impegnativa solo in pochi ospedali, tra cui lo Spallanzani.

Ciononostante, i risultati degli esami, anche presso consultori focalizzati su tale patologia, si fanno attendere dai 15 ai 20 gg. Al contrario, lungo il continente americano, perfino in zone meno sviluppate, la risposta al test avviene sovente nella stessa giornata del prelievo.

Nel 2014 fu varata la prima riforma sanitaria targata Renzi, che avrebbe dovuto “semplificare le procedure per l’apertura di nuove strutture sanitarie, oltre alla selezione nazionale per la nomina dei direttori generali, unicamente sulla base del merito” Riforma Sanità governo R#AF8B8A Chiacchere. Costoro sono tuttora scelti con raccomandazioni e conoscenze politiche; la loro gestione allegra, ha portato al dissesto finanziario e al collasso di nosocomi come il Cristo Re di via delle Calasanziane, che nel 2014 è stato privatizzato dal gruppo Giomi.

Oggi è una clinica “polispecialistica” per pazienti solventi, che sia chiaro.

Nel 2010 vidi mio padre avviarsi verso la fine, trascurato da medici e personale malpagato, lungo corsie invase da sporcizia e menefreghismo.

Nell’agosto 2015, approfittando del clima vacanziero, la solerte Beatrice Lorenzin, ministra della Sanità del governo Letta, salita sul carro di Renzi con la stessa carica, ha dato un giro di vite agli esami, premendo per un aumento del ticket pronto soccorso in codice bianco, fissato a 25 euro nel 2010. Mantenendo la linea dura sulla legalizzazione delle droghe leggere, fu irremovibile nel bloccare norme a favore della concorrenza e liberalizzazione del mercato farmaceutico. Norme che alleggerirebbero i costi per i più indigenti.

Le va però riconosciuto l’approvazione della riforma LEA (livelli essenziali assistenza) che introduce per adolescenti, il vaccino contro HPV (papilloma virus) causa di condilomi, cancro del pene e dell’utero, e l’esenzione ticket per malattie croniche quali BPCO (bronco pneumopatia cronica ostruttiva) e osteomielite. Costo 414 Mil, non ancora attivata.

E’ anche da condividere a mio parere, la sua decisione riguardo obbligatorietà dei vaccini, alla luce di posizioni oscurantiste di genitori che giocano sulla pelle dei propri figli.

Cliniche private e pubbliche indecenze

Riguardo nosocomi a tutela vaticana, non è un caso che macchinari d’avanguardia della medicina nucleare, quali la tomografia a emissione di positroni (Positron Emission  Tomography, PET) siano un vanto di Policlinico Gemelli e suoi derivati, come la clinica Pio XI di via Aurelia. Soprattutto per la diagnosi di tumori del polmone primari e secondari, possibile grazie all’ausilio di radio-farmaci quali il FDG (Fluorodesossiglucosio) che evidenzia le neoplasie maligne. Un lusso per pochi; con SSN è quasi impossibile prenotare per tempo esami così avanzati; fermo restando che pochi sono gli ospedali romani in possesso di tali unità. In intramoenia presso i suddetti istituti, una PET oscilla sui 1000/1200 euro.

Non va molto meglio per una TAC ad alta risoluzione, 300-400 euro, o di una colonscopia, 200/300. Pagando solo il ticket, i tempi d’attesa possono protrarsi oltre un anno, e la diagnosi tempestiva va a farsi benedire. Tramite Asl di via Boccea, la mia colonscopia prenotata a ottobre 2016, è stata fissata per novembre 2017.

Più fortunato con la TAC, grazie alla rinuncia di un paziente. 61 euro, evidenziato un piccolo nodulo. Per arrivarci, i salassi in regime privato sono durati due mesi.

Difatti, la radiografia al torace di ottobre, 40 euro, era stata negativa.

Dopo la lastra, persistendo una violenta bronchite, prenotai visita privata con pneumologo alla clinica Pio XI.

Il quale, visionato il cd, eseguì spirometria e si congedò con una cura, non ritenendo necessari altri esami, dopo aver incassato 130 euro esentasse.

Data l’inefficacia dei farmaci, un otorino ipotizzò una rinite infettiva, prescrivendo antibiotici e cortisone. Altri 120 euro. Miglioramenti temporanei; i sintomi si riacutizzarono dopo un breve periodo. Altra visita pneumologica, nuovo esborso e finalmente la TAC risolutiva.

Nel panorama delle cliniche papaline, merita una speciale menzione Villa Luisa, alle spalle delle mura vaticane, tra le tariffe più alte della capitale. Come se non bastasse, alcune castronerie perpetrate all’interno, rimangono scolpite nella memoria.

Due anni fa, mia madre, di anni 81, monitorata periodicamente dopo l’asportazione di retto e vagina causa carcinoma invasivo, fu sottoposta a Tac che riscontrò  una metastasi linfonodale estesa nella regione iliaca. Fu dismessa, senza che ai familiari fosse spiegato l’esito dell’esame dall’angiologo che l’aveva in cura, e la direzione sanitaria omise di visionare il referto, prima di firmare la dismissione. Lo specialista che svolge la sua professione anche all’interno dell’ospedale Cristo Re, continuò a visitarla a domicilio, praticandole inutili infiltrazioni, al costo di 300 euro per seduta.

La patologia si aggravò, sopravvenne TVP (trombosi venosa profonda) la paziente rimase paralizzata, e morì alla fine dell’anno in corso per occlusione intestinale.

In quel frangente, furono proprio le associazioni per i diritti del malato a fare la magra figura. Periplo Familiare, dopo un consulto con il proprio legale, decise di declinare il caso, che “pur evidenziando chiara negligenza e omissione di atti di ufficio, non presenta sufficienti chances di successo, causa l’età avanzata della paziente”.

Cittadinanza Attiva promise un interessamento mai mantenuto.

Il silenzio agli email di sollecito fu assordante.

L’età è una colpa grave; se non si è ricchi, non produce fatturato.

Priapo in sala

Un altro esempio della forbice romana, che allarga differenze ed efficienze tra sanità pubblica e privata, è la casa di cura Quisisana ai Parioli, strutture e tariffe principesche; tra i suoi Top Gun annovera il Prof. Massimo Martelli, demiurgo della chirurgia toracica mini-invasiva, ed ex primario del fatiscente ospedale Forlanini, chiuso nel 2015 dalla Regione Lazio, con uno strascico di polemiche e di proteste capeggiate dallo stesso Martelli, che da allora ha lasciato la medicina in convenzione. Sovente la comunicazione con il pubblico lascia a desiderare; il mio colloquio con ufficio anestesiologico di Sant’Andrea, che decide l’idoneità a interventi, è stata alquanto spiacevole; un’intervista fredda, incentrata sull’anamnesi del paziente, senza fornire alcun dettaglio sulla procedura e i farmaci adottati; con il corollario della solita liberatoria da firmare, ai fini di sollevare i sanitari da responsabilità, in caso di decesso o danni permanenti dovuti all’anestesia. In realtà, secondo associazioni in difesa dei diritti del malato, tale firma non ha alcun valore legale.

Riguardo farmaci, il Propofol (Diprivan) prodotto da Astra Zeneca, l’ipnotico che ha sostituito il vecchio pentothal riducendo postumi spiacevoli come la nausea, non è immune da effetti collaterali seri, seppure rari, come ipotensione e bradicardia specie se associato a oppioidi quali morfina e fentanil, non essendo un analgesico..

Tra i possibili, anche se poco probabile, effetti collaterali del Propofol, il priapismo è preferibile ai precedenti. Se non altro per mantenere il buonumore in sala operatoria.

Sant’Andrea, zoccolo duro di Ssn

Burocrati a parte, l’ospedale, integrato con Facoltà di Medicina e Chirurgia de La Sapienza, è ai vertici europei nei reparti di oncologia e chirurgia toracica con a capo il Prof. Rendina, coadiuvato dalla sua giovane equipe, dove risaltano le donne.

La tecnologia endoscopica VATS (Video-assisted thoracoscopic surgery) che riduce notevolmente dolore e tempi di recupero, fa parte della routine operatoria, applicabile su lesioni da 1 cm in poi. E’ nell’approccio con il paziente, il quid aggiuntivo dei reparti; paternalismo e supponenza tipici dei sanitari, soprattutto nei confronti degli anziani, sono assenti; trasparenza su interventi e terapie, corsie immacolate, personale medico al top.

Carente invece il programma di riabilitazione respiratoria post intervento.

La logistica decentrata, all’uscita del raccordo per la Cassia-bis, costituisce per ora la sua salvezza, preservandolo dalle mire di politici e curia (non si vedono suore aggirarsi nei reparti). L’eccezione conferma la regola, purtroppo.

Un’altra piaga che affligge i nosocomi, è quella degli informatori sanitari, termine pomposo, che definisce i rappresentanti di medicinali. E’ pratica comune, quella di entrare durante le visite negli studi degli specialisti di turno, per proporre il loro campionario, accompagnando il pistolotto con incentivi di vario genere, dalle offerte speciali, fino ai viaggi-premio per i medici bendisposti. Fui testimone, proprio durante il controllo post-intervento, de l’intrusione di un’informatrice nello studio accanto, provocando tanto entusiasmo nel vice pneumologo, che costui irruppe nella nostra stanza, interrompendo la visita. Esempio ben più grave, l’episodio recente che ha portato all’arresto del primario ortopedico di Milano, intercettato mentre raccontava di aver rotto di proposito il femore di un’anziana in ospedale, ai fini di provare una nuova tecnica operatoria da utilizzare poi nella sua casa d cura, e per aver sponsorizzato l’acquisto di protesi della multinazionale Johnson&Johnson; in cambio, viaggi di crociera e inviti a programmi televisivi. In realtà, fatti del genere sono solo la punta dell’iceberg di un malcostume profondamente radicato nella gerarchia ospedaliera pubblica, che spesso è un cavallo di troia per professionisti di pochi scrupoli, il cui fine ultimo di arricchimento è la clinica privata. Alla faccia del conflitto d’interessi, che in Italia rimane l’ultimo dei problemi, e il reato che desta meno pensieri.

(articolo basato su ricerche ed esperienze personali dell’autore, in possesso di referti che comprovano lo scritto, di cui egli si assume la piena responsabilità – foto dell’autore)


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