Ong e salvataggi in mare, 11 domande (e risposte) per fare chiarezza

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Le operazioni di ricerca e soccorso nel Mare Nostrum continuano a essere al centro del dibattito pubblico. Abbiamo messo insieme alcune informazioni essenziali per provare a comprendere quanto accade

Di Alessandro Lanni (@alessandrolanni)

Si parla molto delle operazioni di salvataggio dei migranti e dei rifugiati in viaggio nel Mediterraneo centrale. In particolare del ruolo svolto dalle ong accusate da alcune parti politiche, alcuni giornali e anche dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro di avere contatti con i trafficanti che in Libia organizzano le partenze verso l’Europa di uomini, donne e bambini.

Per fare un po’ di chiarezza su ruolo e dimensioni dei salvataggi in mare, ci siamo fatti qualche domanda e abbiamo provato a rispondere anche attraverso i dati forniti dalla Guardia costiera.

1. Cosa s’intende per “operazioni SAR” nel Mediterraneo?

L’acronimo SAR corrisponde all’inglese “search and rescue” ovvero “ricerca e soccorso” (ma anche “ricerca e salvataggio”). Con questa sigla si indicano tutte le operazioni che hanno come obiettivo quello di salvare persone in difficoltà in vari ambienti (montagna, mare, dopo un terremoto ecc.) effettuate con mezzi navali o aerei.

In particolare negli ultimi anni – con l’aumento del flusso di migranti in arrivo verso l’Europa – questo genere di operazioni hanno messo in salvo decine di migliaia di persone durante la pericolosa traversata del Mar Mediterraneo spesso tentata su imbarcazioni e gommoni fatiscenti. Alle operazioni SAR partecipano vari attori – non solo militari – coordinati dal Maritime rescue coordination centre (MRCC), rappresentato dal Comando generale della Guardia costiera con base a Roma. Le operazioni di soccorso si svolgono su aree di responsabilità SAR (e non solo su quelle territoriali). L’area di responsabilità italiana coincide con circa un quinto dell’intero Mediterraneo, ovvero 500mila km quadrati.

2. Quali sono i mezzi autorizzati al soccorso dei migranti in mare?

Come spiega con chiarezza la Guardia costiera: «I servizi di ricerca e soccorso fanno affidamento su qualsiasi nave per qualsiasi ragione presente nell’area interessata (navi governative, incluse quelle militari, quelle mercantili, ivi compresi i pescherecci, il naviglio da diporto e le navi adibite a servizi speciali – quali sono ad esempio quelle battenti bandiera italiana utilizzate da alcune ong per le loro finalità SAR). In altre parole, su ogni nave che possa utilmente intervenire per il salvataggio delle vite umane in mare».

Chiunque sia in grado di intervenire ha l’obbligo giuridico di farlo e in caso contrario si configurerebbe come omissione di soccorso (secondo gli articoli 1113 e 1158 del codice della navigazione), con le eventuali aggravanti dovute a conseguenze drammatiche, in primo luogo naufragio e omicidio colposi.

3. Perché le navi italiane possono intervenire fuori dalle acque territoriali?

«Il primo MRCC che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza SAR ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità», che non coincide con le acque territoriali, anzi di norma è ben più ampia. Così ha spiegato il Contrammiraglio Nicola Carlone capo del reparto piani e operazioni della Guardia costiera nell’audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione dell’accordo di Schengen.

4. Perché le navi italiane intervengono anche nel Mar Libico?

Libia e Tunisia, malgrado abbiano ratificato la convenzione SAR del 1979, non hanno dichiarato quale sia la loro specifica area di responsabilità SAR. L’area del Mar Libico a sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia non è posta sotto la responsabilità di alcuno Stato. È per questa ragione che la prima centrale MRCC contattata dovrà attivarsi per salvare le barche dei migranti e dei rifugiati in pericolo. E, in questo periodo, la stragrande maggioranza di richieste d’aiuto arriva in Italia.

5. Come si definisce “luogo sicuro” dove i migranti devono essere sbarcati dopo il recupero in mare?

Una volta finito il salvataggio in mare, l’operazione SAR non è ancora conclusa. I migranti devono essere condotti in un “luogo sicuro” (dall’inglese place of safety), ovvero un luogo che fornisca le garanzie fondamentali ai naufraghi.

Le persone tratte in salvo devono essere portate dove: 1) la sicurezza e la vita dei naufraghi non è più in pericolo. Per questa ragione, non sono considerati “sicuri” porti di paesi dove vige la pena di morte o dove anche un solo migrante salvato in mare possa essere perseguitato per ragioni politiche, etniche o di religione. Dove 2) le necessità primarie (cibo, alloggio e cure mediche) sono soddisfatte e 3) può essere organizzato il trasporto dei naufraghi verso una destinazione finale.

Un “luogo sicuro” – e questo è un punto importante – deve essere individuato dal MRCC che ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni stesse. In altre parole, se è la centrale operativa di Roma a ricevere la richiesta d’aiuto (o ad assumere il coordinamento delle operazioni) deve anche scegliere il luogo dove portare i naufraghi e deve individuarlo sul proprio territorio, qualora non vi sia un accordo con uno Stato eventualmente più prossimo alla zona dell’evento SAR.

6. Quante operazioni sono state svolte dalle navi nel Mediterraneo centrale?

In questo grafico l’andamento degli “eventi Sar” sulla rotta migratoria del Mediterraneo centrale.

7. Quante persone sono state soccorse dalle ong?

Dal 1 gennaio al 30 aprile 2017 i migranti soccorsi dalle ong sono stati 12.346, pari al 33% dei salvataggi in mare. Secondo il rapporto della Guardia costiera, nel 2016 i migranti soccorsi tra il nord Africa e l’Italia sono stati 178.415 e di questi poco meno della metà sono stati messi in salvo da Guardia costiera (35.875) e Marina militare (36.084).

Le 10 organizzazioni non governative (Moas, Seawatch, Sos Méditerranée, Sea Eye, Medici senza frontiere, Proactiva Open Arms, Life Boat, Jugend Rettet, Boat Refugee, Save the Children) che operano nel Mediterraneo centrale hanno salvato 46.796 migranti. In aggiunta c’è l’attività dei mercantili di passaggio, dei Carabinieri, della Guardia di finanza, della Polizia, delle imbarcazioni del programma Frontex e delle unità navali non italiane. Il picco delle operazioni dello scorso anno è stato il 29 agosto con 53 recuperi in 24 ore e 6953 portate in salvo.

8. Come vengono intercettate le imbarcazioni?

Secondo la Guardia costiera italiana, nel 2016 c’è stato un netto peggioramento della sicurezza sulle imbarcazioni stipate di migranti che viaggiano dalla Libia verso l’Italia. La diminuzione di telefoni satellitari a bordo ha reso molto più complicato rintracciare i gommoni che provano ad attraversare il Mediterraneo centrale. Se nel 2015, gli eventi Sar attivati grazie a una telefonata satellitare sono stati circa l’80% (747 su 938 operazioni svolte), nel 2016 il ricorso alle chiamate verso l’Italia sono drasticamente calate: solo il 45% delle operazioni di salvataggio partono grazie a una telefonata partita dal mezzo del mare (638 su 1424).

Se diminuiscono i salvataggi che nascono con una chiamata, aumentano le operazioni che partono grazie agli avvistamenti di navi e, soprattutto, aerei.

9. È possibile presentare domanda di asilo in mare?

In mare non è possibile una valutazione formale dello status di rifugiato o di richiedente asilo (in virtù del Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; d.lgs 286/’98 – T.U. immigrazione e discendente DM 14 luglio 2003; ecc.). Tutte le imbarcazioni coinvolte in operazioni SAR hanno come priorità il soccorso e il trasporto in un “luogo sicuro” dei migranti raccolti in mare e le azioni di soccorso prescindono dallo status giuridico delle persone.

10. Come sono cambiate le barche con migranti e rifugiati?

Se fino al 2015 dalla Libia (dall’Egitto e dalla Tunisia) partivano perlopiù barche da pesca e pescherecci in legno, oggi la maggioranza tenta la traversata con quegli improbabili gommoni riempiti fino all’inverosimile. I lunghi e stretti “siluri” grigi portati in salvo nel 2016 sono stati 1094 e ospitavano più di 133mila persone.

Secondo le rilevazioni della Guardia costiera è aumentata non solo la percentuale ma anche il numero di persone imbarcate: nel 2016 ogni gommone trasportava in media 122 migranti, il 18% in più rispetto al 2015.

11. Come vanno le cose nel 2017?

Il trend dei primi mesi di quest’anno confermano i numeri del 2016. Nel marzo scorso sono 10740 le persone salvate in mare, 4294 delle quali grazie all’intervento di navi di una delle ong operanti nell’area. Nei primi tre mesi del 2017 sono stati 8262 i salvataggi effettuati da una organizzazione non governativa a fronte degli 8111 effettuati dalla Guardia costiera.

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Da cartadiroma


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