I forni crematori in Siria? Gli Usa ammettono: “Una bufala” ma la smentita non passa sui giornali

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Ha fatto il botto ed è però stranamente sparito subito non solo dalle prime pagine dei giornali e dalle breaking news delle televisioni. E come se non bastasse la smentita della sua esistenza non è stata riportata da nessun giornale italiano… Stiamo parlando del “forno crematorio siriano” che secondo la vulgata Assad avrebbe messo in funzione in una prigione a 50 chilometri da Damasco per fare sparire i cadaveri di migliaia di oppositori e presunti tali accoppati nelle più svariate maniere.

Dopo l’imprudente accusa  del Dipartimento di Stato relativa a tale (presunto) forno crematorio c’è stata subito la gara a chi la sparava più grossa, e ovviamente non sono mancati i paragoni con Auschwitz, ma neppure gli appelli perché “l’Europa si mobiliti”. La palma della gara spetta sicuramente al Corriere della Sera con un’articolessa dal titolo apocalittico: “Avevamo detto ‘mai più’: ma il fumo dal camino del forno crematorio in Siria riporta l’umanità nel baratro” e dall’occhiello decisamente interventista: “Non c’è insulto più grande alla dignità umana: offendere persino la morte. Ora l’Europa, terra di Auschwitz, ha il dovere di mobilitarsi”.

Insomma, tutti mobilitati pro invasione della Siria esattamente come anni fa lo si è stati per l’invasione dell’Iraq giustificata con la “produzione di bombe atomiche siriane”, della quale in realtà non c’era mai stata neppure l’ombra: centinaia di migliaia di vittime ed enormi distruzioni sulla base di notizia inventate di sana pianta per eccitare l’opinione pubblica e renderla interventista come fosse un toro da eccitare e provocare agitandogli davanti agli occhi il panno rosso.

Nessuno si è accorto che le foto satellitari addotte come prova dell’esistenza del forno crematorio altro non erano che un opportuno “ritaglino”  delle foto satellitari scattate 11 anni fa . E nessuno ha badato al fatto che a lanciare le prime accuse, già a febbraio, è stata Amnesty International, sempre in prima linea nell’accusare di atrocità il governo di Damasco. Amnesty precisava anche che dal 2013 a oggi sarebbero stati eliminati tra i 5000 e i 13000 prigionieri, i cui cadaveri sarebbero poi stati fatti sparire dai soldati di Assad nel famoso “forno crematorio”.

Dopo le improvvise dichiarazioni, basate sulle “rivelazioni” di Amnesty, del Dipartimento di Stato, il Segretario USA per le questioni del Medio Oriente Stuart Jones in un incontro con la stampa ha ridimensionato tutto: “Nella prigione governativa di Saydnaya in Siria, probabilmente non c’è nessun forno crematorio. Una parte dell’edificio, ristrutturato nel 2013, risulta semplicemente più caldo”.

Come si possa far passare per forno crematorio un’ala di palazzo solo perché è un po’ più calda del resto è un bel mistero. Le cui nebbie, o meglio i cui fumi si possono diradare ricordando che tra i finanziatori di Amnesty c’è la Open Society Foundation, dello straricco speculatore finanziario “globale” George Soros, che si batte per i diritti in ogni angolo del mondo in maniera piuttosto ambigua: dov’erano Amnesty International e molte altre organizzazioni simili foraggiate da Soros e dintorni  quando i macellai dell’ISIS  cominciavano a espandersi tra la Siria e l’Iraq? Ed è utile ricordare che anche le accuse alla Siria di Assad per il presunto attacco chimico di aprile a Khan Shaykhun erano totalmente senza prove: la Francia, non disinteressatamente furibonda, ha promesso di portarle, ma la promessa non è stata mantenuta.

Purtroppo a un attacco mediatico così forte, degno del peggior terrorismo psicologico, e di grande impatto come quello che tira in ballo i forni crematori, non corrisponderà certo un altrettanto forte risalto e impatto mediatico che parli della marcia indietro del Dipartimento di Stato Usa.

Quella delle notizie bomba inventate di sana pianta dagli USA per giustificare interventi militari anche di vasta portata è una vecchia storia. A sua tempo l’ampliamento della disgraziata guerra coloniale contro il Vietnam è stata giustificata col famoso “incidente del Tonchino”  vale a dire con la bufala secondo la quale il 4 agosto 1964 una torpediniera nordvietnamita avrebbe aperto il fuoco contro una nave da guerra USA nei mari vietnamiti del golfo del Tonchino. Ecco come ancora nel 2012 si parlava in Italia di quella “notizia” della quale a botta calda si gridò in tutto il mondo.

La bufala dell’”incidente del Tonchino” nel 1964 permise di prolungare di ben 11 anni la guerra al Vietnam, iniziata nel 1955 e terminata solo nel 1975,  con un bilancio di qualche milione di morti vietnamiti (e oltre 40 mila soldati statunitensi).

La balla delle “armi di distruzione di massa”, in particolare bombe atomiche, in mano all’Iraq di Saddam è storia molto più recente: come è ben noto, nel 2003 è servita per giustificare l’invasione militare dell’Iraq da parte dell’esercito USA, causa di centinaia di migliaia di morti (la cifra esatta non la sa nessuno). Particolare imbarazzante, specie per noi giornalisti, se non orrendo: la bufala sulle atomiche irachene iniziò con un dossier pubblicato dal settimanale Panorama, diretto da Carlo Rossella, nel quale si parlava di una gigantesca fornitura di uranio del Niger venduto all’Irak di Saddam Hussein per produrre la famose bombe atomiche. Fornitura mai esistita, come documentò anche il bel film USA “Fair game” e da un reportage dal Niger del nostro Massimo Alberizzi. (http://www.africa-express.info/2003/07/21/il-diplomatico-del-niger-smentisce-il-dossier-uranio-venduto-saddam-e-falso/

Altro particolare imbarazzante specie per noi giornalisti: né l’autore dell’articolo né il direttore Rossella ebbero noie giudiziarie e neppure disciplinari per la pubblicazione del dossier fasullo che innescò il disastroso e tragico intervento militare in Iraq.

L’incidente del Tonchino ha un precedente illustre, ma dimenticato: l’incidente dell’Avana. Nel 1898 nel porto della capitale cubana, allora possedimento della Spagna, esplose e affondò la corazzata Usa “Maine”, provocando la morte di 250 marinai. Gli Usa gridarono subito a mezzo stampa che la nave era stata affondata da un siluro lanciato dagli spagnoli e così dichiararono guerra alla Spagna.  A soffiare sul fuoco si distinse il principale editore statunitense Randolph Hearst, una sorta di Rupert Murdoch di quell’epoca. Con quella guerra gli Stati Uniti strapparono alla Spagna Puerto Rico, Cuba e le Filippine: il primo venne annesso, le altre due diventarono colonie USA di fatto. La corazzata Maine è stato in seguito appurato che esplose per cause interne: manutenzione sbagliata della santabarbara o delle caldaie.

I pignoli ad oltranza nel dossier delle bufale a stelle e strisce a fin di guerra inseriscono anche l’affondamento del transatlantico inglese Lusitania, all’epoca la più grande nave del mondo. Un fatto non ancora del tutto chiaro, ma che – data la situazione – vale la pena ricordare. Per non dilungarci troppo, lo faremo però la prossima volta.

Fonte: Senza Bavaglio


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