Rimettiamo al centro i temi del lavoro

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L’aspetto sul quale varrebbe la pena riflettere in una giornata convulsa come quella di ieri è, soprattutto, uno: il silenzio. Per ore, infatti, tanto i siti d’informazione quanto i social riportavano il susseguirsi delle notizie in maniera quasi asettica, con comunicati scarni e pressoché nessun commento, a dimostrazione che nessuno, su nessun versante, al momento sa che pesci prendere.
Si voterà quest’anno? Entro giugno o a ottobre? Si arriverà al 2018, dunque alla scadenza naturale della legislatura? E con quale legge si andrà alle urne? Mattarellum, proporzionale puro, proporzionale temperato, Italicum corretto dalla sentenza della Consulta o qualcos’altro? E le forze politiche come saranno composte? Saranno ancora quelle attuali, nelle stesse forme e con i medesimi esponenti? Come ne uscirà il M5S dal disastro combinato da Casaleggio junior in merito alla collocazione europea del gruppo e dai dolorosi addii di Affronte e Zanni, che oltretutto potrebbero non essere gli ultimi? E la Raggi? Sono finite le sue disavventure o le arriverà, a breve, un avviso di garanzia? E la minoranza dem riuscirà a riprendersi il partito, magari approfittando della duplice sconfitta di Renzi al referendum e alle Amministrative di primavera?
Capite adesso perché nessuno ha commentato, nessuno ha detto nulla di impegnativo e tutti sono in attesa, innanzitutto della sentenza della Consulta sull’Italicum e poi dell’evolversi di un quadro politico che potrebbe mutare dall’oggi al domani? Se a ciò aggiungiamo il delicato intervento chirurgico subito dal presidente Gentiloni, cui ovviamente rivolgiamo i nostri migliori auguri di pronta guarigione, avremo un vivido affresco di quella società liquida e di quella solitudine del cittadino globale che Bauman denunciava mirabilmente nelle sue opere.

Un quadro politico liquefatto, un assetto istituzionale che non regge più, una disperazione sociale sempre più marcata e un vero e proprio disfacimento di forze politiche ormai ridotte all’irrilevanza, in guerra con se stesse, incapaci di riformarsi, costrette a fare i conti con un mondo a sua volta impazzito, sempre meno rappresentative e immerse nel contesto di un’Europa che, entro pochi mesi, potrebbe letteralmente esplodere, fra Wilders e Marine Le Pen, candidati alla presidenza di due paesi fondatori.
È bene, pertanto, evitare ogni forma di strumentalizzazione e riflettere, al contrario, sulla necessità di rimettere i temi del lavoro al centro del dibattito pubblico: la sua qualità e la sua dignità, innanzitutto, in quanto non basta parlare di lavoro se non si riflette attentamente sull’argomento essenziale dei diritti. Il lavoro, infatti, non basta più, se si tratta di un’occupazione precaria e priva di prospettive, di un’occupazione che impedisce di costruirsi un avvenire, di formarsi una famiglia e di mettere al mondo dei figli, di un impiego a tempo, caratterizzato dai ricatti e da barbarie come il controllo a distanza e altre schifezze indegne.
Rimettiamo al centro della discussione il tema degli appalti, affinché si contrasti la piaga della corruzione, delle tangenti e delle assegnazioni per vie tortuose e traverse, senza tenere conto dell’effettiva utilità sociale dei medesimi.
Rimettiamo al centro della discussione il tema dei voucher, affinché se ne restringa l’uso a pochissimi casi, riportandoli alla loro “ratio” originaria che era quella di far emergere il lavoro nero in alcuni ambiti, e facendo sì che tutte le altre mansioni siano regolate da contratti con tutti i crismi, dotati di adeguate tutele e garanzie per i lavoratori.
Rimettiamo al centro della discussione il dramma di una generazione costretta ad emigrare per veder riconosciuto il proprio talento, con una perdita di risorse straordinarie per un Paese che, comunque, ha contribuito a formarla, spendendo centinaia di migliaia di euro.
Rimettiamo al centro i sogni e le speranze di ragazzi e ragazze che vorrebbero, finalmente, sentirsi inclusi nel contesto democratico, godendo di un pieno diritto di cittadinanza e di una partecipazione attiva alle decisioni pubbliche, di cui il lavoro e, ancor più, la sua stabilità costituiscono il fondamento.
Rimettiamo al centro la revisione della pessima legge Fornero, permettendo di sbloccare quel turn over necessario per svecchiare gli ambienti lavorativi, consentendo così un sacrosanto e indispensabile ricambio generazionale nonché la possibilità di andare in pensione per coloro che ormai, palesemente, non ce la fanno più per raggiunti limiti d’età.
Insomma, proviamo a occuparci delle questioni cruciali del nostro Paese, accantonando calcoli politici e di bottega e mettendo il governo in carica nelle condizioni di svolgere nel migliore dei modi il proprio lavoro. In caso contrario, saranno milioni di cittadini a farsi sentire nelle urne e, come si è visto lo scorso 4 dicembre, quando vogliono esprimersi in maniera netta e decisiva, ne sono capaci eccome.


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