Il corpo della donna nell’arte e nella vita tra laicità e integralismo

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Sono state la fame e la mancanza del pane nel 1789 a far scatenare la rivoluzione in Francia. E sono stati i valori dei Lumi, la rivendicazione dei diritti di Libertà, Uguaglianza e Laicità a guidare uomini e donne, a spingerli verso una lotta sanguinaria contro l’assolutismo politico e religioso. La Francia di allora ha indicato la strada all’Europa per uscire dall’oscurantismo e da quello che ancora sopravviveva del Medioevo.
La ghigliottina fu un male necessario per spezzare le catene del passato, per spegnere i roghi dell’intolleranza, armi letali di controllo delle masse. Furono lasciati alle spalle i secolari ceppi infuocati sui quali venivano arsi corpi e cervelli di donne non conformi alle regole stabilite dal potere dominante, e per questo definite streghe. Il cammino delle donne per raggiungere la piena parità nei confronti del mondo maschile è stato lungo e prosegue tuttora, soprattutto per adeguare lo stesso trattamento sul lavoro e nelle retribuzioni; ma di fatto nei sistemi occidentali l’uguaglianza formale è regolata per legge.
L’opportunismo, la nauseante ipocrisia, i proclami di vescovi e politici, che in nome di una presunta libertà di pensiero e professione di culto spingono le “politically correct” testoline nostrane a prendere le distanze dalle autorità francesi, colpevoli di voler mettere al bando l’imbalsamante costume islamico, chiamato burkini, ci riempiono di indignazione e di imbarazzo. Nessuna di queste menti “illuminate” da Dio e dalle leggi dello Stato laico difenderebbe, però, qualcuna di noi in bikini, anche se coperto da un pareo, in una spiaggia degli Emirati arabi, dove è proibito mostrare il corpo femminile. E’ questa la reciprocità di cui tanto si parla? Ma senza ciò, il rispetto delle differenze culturali è aria fritta, asservimento, sottomissione, che prende a pretesto un abbigliamento femminile coprente dalla testa ai piedi, per sbeffeggiare, svilire e strumentalizzare il corpo delle donne, la loro libertà di svestirsi e di godere pienamente il piacere naturale dell’acqua, del sole, della brezza marina.
Perché l’uso del burkini non dovrebbe essere regolato e, invece, sulle spiagge non possono avere libero accesso i nudisti, che fanno della loro nudità corporea una scelta culturale ed etica di vita? Perché loro “fanno scandalo” e li si rinchiude in dedicate “riserve indiane”? E allora come non pensare che l’ostentazione di un costume più simile ad una muta subacquea che a una mise da bagno, non possa mettere a disagio noi donne dai comportamenti e pensieri occidentali? Noi donne che ci sentiamo libere e a nostro agio in minigonna o in pantaloni, in costume intero o in succinti bikini, grasse e magre, giovani e attempate, ci sentiamo violentate dagli anatemi dei “benpensanti”, laici o religiosi: queste liberalità ce le siamo conquistate con anni ed anni di lotte e di determinazione!
Come non pensare allora che gli uomini di religione islamica, in short e a petto nudo, che accompagnano le loro mogli completamente coperte, non ci rechino offesa con i loro sguardi intensi, voyeuristi, sulle nostre nudità? E se qualche “firma” si domanda perché tanta ostilità verso il burkini non è invece indirizzata ai “burini”, che imperversano sulle spiagge, è lecito pensare che i “burini” non sono né una categoria dello spirito né un’ideologia politica né una specie umana facilmente definibile. Si annidano numerosi, più che nelle spiagge popolari, in quelle frequentate dai “nouveaux-riches” e nei ristoranti stellati, inaccessibili a noi comuni mortali, che arriviamo faticosamente a fine mese; sono una specie camaleontica ben mimetizzata soprattutto fra gli intellettuali “à la page” e tra i neo-acculturati ben remunerati. Ma si sa, ormai, liberi di sentenziare su tutto con aria solenne e “moralisticheggiante”, da dietro una cattedra da docenti “a gettone”, straparlando sull’integrazione e quant’altro! Le parole del premier francese Manuel Valls al quotidiano La Provence sono eloquenti e sintetizzano l’essenza del problema: “le spiagge come ogni spazio pubblico devono essere difese dalle rivendicazioni religiose. Il burkini non né un nuovo tipo di costume da bagno né una moda. E’ la traduzione di un progetto politico, di contro-società, fondata notoriamente sulla sottomissione della donna”.
Una recente, meravigliosa mostra al Museo d’Orsay di Parigi ha affrontato il tema della libertà femminile, prendendo di vista il mondo della prostituzione. “Splendeurs et miséres. Images de la prostitution 1850-1910” ha con audacia e onestà intellettuale illustrato questa tematica senza tabù, attraverso foto d’epoca, documenti, sculture e tele di artisti celebri. “E’ stata la prima volta che la rappresentazione della prostituzione diviene l’oggetto di una esposizione”, hanno spiegato le curatrici Isolde Pludermarcher e Marie Robert. “Un tema ricco di suggestione e di tematiche ancora inesplorate, che abbiamo trattato con articolate sfaccettature, senza il compiacimento di una lettura licenziosa né frivola”.
Con pertinenza e originalità il percorso espositivo inizia con una grande sezione dedicata alle strade e ai caffè come spazi pubblici nei quali “femmine oneste”, “prostitute ufficiali” od “occasionali” si mescolano, offrendo agli artisti dettagli da catturare e immortalare, in un’epoca in cui la rappresentazione della prostituzione era vissuta da pittori, scrittori e poeti in una dimensione ricca di implicazioni romantiche ed emozionali.
Vittime, seduttrici o icone moderne, le donne ritratte esprimono nei loro sguardi tutte le anime e le sfaccettature femminili che nessun velo potrà mai offuscare. Non temono giudizi né censure, libere comunque di osservare il mondo con la loro profonda umanità. La meravigliosa modella di Giovanni Boldini, “Traversant la rue”, avanza leggiadra sul pavè argenteo, fasciata in un verde smeraldo arricchito da volants, con un gran mazzo di fiori fra le braccia: intorno a lei al vita di tutti i giorni scorre tranquilla. Lo sguardo magnetico di “Olympia”, il capolavoro senza tempo di Edouard Manet, domina il visitatore incantato dal suo incarnato perlaceo e dalla sua posa plastica. E’ sfrontata la “Mòme à Gallieni” di Frantisek Kupka, scolpita dai colori forti “fauvisti”: l’incarnazione di una femminilità moderna che non teme giudizi morali. Sono splendide, misteriose, inquietanti le giovanissime modelle di Degas, spettinate, nude e impudiche, mentre si lavano e si pettinano incuranti degli sguardi altrui. I colori pallidi accentuano l’erotismo scenico. Che siano le famose ballerine sulle punte o le ragazze del bordello, l’inquieta misoginia dell’artista, espressa in prospettive pittoriche simili a inquadrature fotografiche, audaci e luminose, sono di una veridicità spietata, ma rivelano comunque la vitalità, la pienezza e la grazia del corpo femminile.
Il corpo è libero di mostrarsi senza vergogna nel magnifico dipinto di Henry de Toulouse-Lautrec, “Femme tirant son bas”, davanti alla sua compiacente maitresse. La gioia, la dannazione, la tristezza, la complicità, l’intimità nella vita delle case chiuse sono affrontate con infinito amore, rispetto e cura dei particolari dall’artista, che in quei luoghi ritrovava la tenerezza di un’umanità profusa di dignità, che lo accoglieva e lo proteggeva: “In nessuna altra parte del mondo mi sento più me stesso, come se fossi a casa mia”, dirà.
Mille sfumature di blu avvolgono la “La Femme mélancolique” di Pablo Picasso, con una luce in chiaro a rischiararne il volto; quasi a manifestare la profonda empatia tra loro due. E’ una donna libera, seduta al tavolino del bar davanti ad un boccale di birra e una sigaretta fra le dita, “Agostina Segatori au tamburin”, nel celebre ritratto di Vincent Van Gogh: il sorriso appena accennato, gli occhi neri e decisi, le forme sinuose e rassicuranti, le molteplici tonalità del verde che sfumano nei grigi, tocchi di giallo e rosso, le forti pennellate che appaiono scaturire dall’anima, a scavare nell’interiorità del soggetto con profondità di sentimento.
Una sezione della mostra è dedicata alle “Cortigiane” e alle Dame dei salotti parigini, colte, raffinate, affascinanti, padrone della propria vita. Donne che disponevano non solo del loro corpo, ma anche delle loro grandi doti intellettuali, ricche di cultura e spesso conoscitrici del mondo dell’arte, tanto da diventare scopritrici di talenti e così “à la page”, da imporre mode e costumi. Erano celebrate e adorate da Baudelaire, Flaubert, Delacroix, Dumas, Zola, che sovente le elevavano nelle loro opere al ruolo di muse ispiratrici.
Nei due secoli scorsi, l’unità di spirito e corpo per le donne era un’aspirazione, per alcune “più fortunate” era già una realizzazione. Oggi, che sembra che il mondo voglia tornare indietro, con lo sguardo rivolto ad un passato oscurantista, ci viene in mente il motto “rivoluzionario” del movimento femminista nei primi anni Settanta: “Non più puttane, non più madonne, finalmente donne”.


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