Peppino Impastato, “giornalista giornalista”

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Peppino e gli amici siciliani, ci basta lui, come eroe: “Ribelliamoci, prima che sia troppo tardi…”

‘Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio dire che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!’. Rimbombano come un mantra le parole di Peppino Impastato, in questo 9 maggio 2016, 38 anni dopo il ritrovamento senza vita del suo corpo. Un attentato terroristico organizzato da Peppino e nel quale lo stesso perse la vita, si disse. E per qualche giorno, con l’Italia totalmente distratta da ritrovamento del corpo del Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro (trucidato da mano terroristica), la notizia della morte di Peppino passò in sordina, proprio come un attentato. Per tutti, tranne che per la sua Cinisi, per la grande donna che fu la madre, Felicia, per i suoi amici ed i suoi compagni.

Poi la verità: fu un attentato contro Peppino ed il mandante fu il capomafia Gaetano Badalamenti (chiamato “Tano seduto” dal giovane giornalista). Proprio in questo periodo, così particolare, le parole di Peppino devono guidarci a comprendere come, il suo sacrificio e quello di tanti altri, non possano essere liquidati al mero ricordo, una volta all’anno. La Sicilia non può e non deve essere Terra di “eroi, lapidi e commemorazioni”. Non si sente il bisogno di nuovi eroi o di nuovi miti, ci bastano “Peppino e gli amici siciliani”.

Un “giornalista giornalista” era Peppino. Di quelli rari che, con il suo sprezzante coraggio, diede forza ad un vero e proprio movimento culturale. Lo stesso movimento culturale che, senza “Io” ma con al centro il “Noi”, può e deve ripartire oggi, in questo 9 maggio del 2016. Arretrare, anche solo di un millimetro, rappresenterebbe una vittoria proprio per i professionisti della mafia. Perché è vero, bisogna smetterla con i professionisti dell’antimafia ma, come diceva Peppino, “bisogna ribellarsi”, tutti insieme. Lo sdegno e lo scoramento per le recenti inchieste su alcuni personaggi di una presunta antimafia, non possono bloccarci o, peggio ancora, portarci al disimpegno civile.

Peppino ci ha lasciato questo insegnamento: “Ci dobbiamo ribellare”. E lo dobbiamo fare tutti insieme, facendo squadra contro le mafie e con la moralità specchiata di chi, ogni giorno, senza guadagni personali, mette a disposizione la propria azione perché ci crede, per un “dovere morale ed etico”. Anche perché non vorrei che, alla fine, nel contrastare (giustamente) i professionisti dell’antimafia, possano in maniera indisturbata vincere i “professionisti della mafia”.

E’ un grave rischio quello che corriamo e sarebbe un errore dai danni incalcolabili. 


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