Legnini ai giudici: obbedite tacendo, come i carabinieri. Orlando “furioso”: “Morosini, è questione che riguarda l’istituzione”. Quella del Pd?

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Di Alessandro Cardulli

A sentir parlare di “divieto per i giudici a partecipare a campagne politiche” da parte di un uomo di partito, di lungo corso, come Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura per volontà di Renzi Matteo, intendiamoci tutto nelle regole, nella normativa esistente per nominare i membri non togati dell’organismo, verrebbe da sorridere  se non si trattasse di una colossale preso in giro. Così come leggere che l’Orlando Andrea, il ministro della Giustizia, “furioso” lo descrivono i media giocando sul suo cognome, vuole parlarne con Legnini, trattandosi di “questione Istituzionale”, prima di decidere se adottare provvedimenti disciplinari. Ma di quale istituzione parla? Forse quella del Pd.

La carriera tutta di partito del ministro e del vicepresidente del Csm

Orlando e Legnini non sono arrivati ieri. Il primo ha il suo primo incarico politico, nel senso di partito, nel 1989, segretario della Federazione giovanile comunista di La Spezia. Poi tutta una carriera in ascesa dal Pds ai Ds fino a ministro  dell’Ambiente del governo Letta cui Renzi, ricordate, aveva detto “stai sereno”. Con il premier diventa ministro della Giustizia in quota “giovani turchi”, leggi Orfini Matteo legato a doppia mandata al premier. Il vicepresidente del Csm, avvocato, lo troviamo sindaco di Roccamontepiano, comune di 1730 abitanti in provincia di Chieti, dal 1990 al 2002, dirigente dei Ds, prende il volo nel 2004 quando viene eletto senatore. Ricopre numerosi incarichi in commissioni importanti fino alla nomina a sottosegretario alla presidenza  del Consiglio dei ministri con il governo Letta. Dal 28 febbraio 2014 al 30 settembre 2014 è stato sottosegretario al ministero dell’economia nel governo Renzi. Il 10 settembre 2014 è eletto nuovo consigliere laico del Csm in quota PD insieme all’ex sindaco di Arezzo, sempre in quota PD, l’avvocato Giuseppe Fanfani. È la prima volta nella storia repubblicana che un membro del governo in carica viene eletto nell’organo di autogoverno della Magistratura.

I curricola del vicepresidente del Csm e del ministro della Giustizia ci fanno capire bene il senso dei loro attacchi, pesanti, al giudice togato Piergiorgio Morosini. Per loro la politica  sono i partiti, fanno fatica o fingono di non capire che politica è altra cosa. Nel senso originario della parola che deriva da  “polis”, la città-stato, si deve intendere la comunità di cittadini considerata come struttura politica e amministrativa autonoma rispetto al governo centrale.

“Il referendum si è caricato di significato politico. Divieto per i giudici di partecipare a campagne politiche

Fa confusione Legnini o meglio confonde le acque quando  afferma, in una intervista rilasciata a Maria Latella su Sky TG24 che “c’è divieto per i giudici a partecipare a campagne politiche”, usa la  parola politica nel senso di parte, di partito. Dice infatti che “questo referendum si è caricato di un significato politico. Ci sono ragioni che suggerirebbero cautela”. Il giudice deve sapere “coniugare il suo diritto ad esprimere opinioni con la necessità di assicurare terzietà”. Fin troppo facile: se c’è qualcuno che ha dato “significato politico” al referendum, questo qualcuno è proprio colui che presiede il governo di cui faceva parte e dirige il Pd che lo ha proposto a membro del Csm. Come sparare sulle Croce Rossa.

Spataro (procuratore Repubblica a Torino): “Si contesta al magistrato un diritto costituzionale”

Ha già risposto Magistratura democratica. Lo fa anche  Armando Spataro, procuratore della Repubblica di Torino, in una lettera pubblicata da Repubblica. Confessa di aver  aderito subito al Comitato per il “No” e che lo ha fatto anche in occasione per il “No” alla riforma bocciata nel giugno del 2006, “allorché – dice – ho girato l’Italia in ogni possibile weekend, parlando di fronte ad ogni tipo di uditorio. Grazie ad una capillare opera di informazione, vinse il No, con il 61,3% degli oltre 25 milioni di votanti. Avendo qui confessato queste colpe – prosegue – potrei oggi essere accusato, secondo un pensiero che si va diffondendo, di appartenenza ad associazione per delinquere, con la qualifica di promotore e con l’aggravante della recidiva specifica: sembra, infatti, che sia quasi illegale che i magistrati possano ‘schierarsi’ in un referendum di natura costituzionale. Tradirebbero, si dice, la loro terzietà e così confermerebbero la loro politicizzazione, una tesi di assoluta infondatezza. Dico subito che questo diritto-dovere di ‘schierarsi’ non ha nulla a che fare con la contesa partitica-politica che si sviluppa nei periodi di campagna elettorale ed alla quale, certo, i magistrati devono rimanere estranei, come prevede anche il nostro codice deontologico. Qui si tratta, invece, di un diritto costituzionale di cui anche il magistrato – come ogni cittadino – è titolare e che viene oggi contestato, in misura ben più dura di quanto avvenne nel 2006, quasi che una ‘militanza civica’ comporti rinuncia alla propria libertà morale e di giudizio, quasi che una simile testimonianza abbia il significato dello schierarsi ‘contro’ qualcuno, piuttosto che ‘per’ valori e principi”.

Perché Renzi interpreta il referendum “per me o contro di me”

Poi la domanda cui né Legnini, né Orlando, ovviamente per il “si”, daranno mai una risposta: “Bisogna invece chiedersi perché mai un premier debba proporre una interpretazione impropria del referendum governativo: ‘per me’ o ‘contro di me’, annunciando l’impegno di dimettersi in caso di vittoria del No? Perché mai questa scelta, visto che si tratta di una riforma voluta da una oscillante maggioranza di governo e non certo da un vasto schieramento trasversale, politicamente e culturalmente solido?”.

Perché si continua ad ignorare  che il Foglio ha dichiarato di aver commesso un falso

Aggiungiamo alcune nostre domande. Perché il ministro e il vicepresidente del Csm ignorano o fanno finta, che Morosini è stato vittima di un inqualificabile “trattamento” da parte del quotidiano il Foglio che ha inventato nel titolo della conversazione il “bisogna fermare Renzi”? Il direttore stesso del quotidiano lo ha ammesso, così chi ha scritto la “conversazione” che ha detto “il titolo è del titolista”. Ne sono al corrente Orlando e Legnini? È vero che i media continuano a scrivere che i contenuti della “conversazione” sono stati smentiti dal giudice, volutamente ignorando la “confessione” del Foglio, ma informarsi sui fatti sarebbe un loro dovere. Hanno letto la smentita più generale resa nota da Morosini? Oppure ne vogliono fare un caso esemplare, una “lezione”, un avvertimento da dare ai magistrati, colpendo uno si colpiscono tutti? E su quanto affermato dal giudice Fanfani in merito all’arresto del sindaco di Lodi niente da dire? E Renzi Matteo? Sta nelle retrovie, come fanno tutti i generali, a suonare la carica ci pensano gli ufficiali, ancora prima i marescialli. Un Verdini che ti dà una mano si trova sempre. Con la giustizia ha un conto in sospeso: sei rinvii a giudizio, una condanna per bancarotta fraudolenta. Parlerà lunedì pomeriggio in una riunione di direzione del Pd convocata all’improvviso. Tv, radio e quotidiani sono stati “avvisati”. Guai a chi manca.

Da jobsnews


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