L’America latina è vicina, ma…

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I popoli latinoamericani, un melting-pot d’oltre 600 milioni di persone, abitano il continente dalla frontiera meridionale degli Stati Uniti alla Patagonia, fin davanti allo stretto di Magellano e ai ghiacci del Sud polare. Hanno alle spalle antiche culture ed esperienze moderne che li hanno portati a costruire grandi città cosmopolite e industrie ad altissimo livello tecnologico, capaci di competere sui mercati globali. I loro vastissimi territori vantano più risorse naturali dell’Asia: alimentari, minerali, riserve d’acqua potabile tra le maggiori al mondo. Non sono l’Eldorado, né la cornucopia talvolta vagheggiata, non c’è bisogno di ricorrere alla mitologia per comprenderne l’immenso valore umano e materiale.

Dell’Asia, inoltre, queste terre contano incomparabilmente meno abitanti, cosi che in un pianeta tendenzialmente sovraffollato offrono più spazio di qualsiasi altra regione. Un rapporto che già in quanto tale costituisce un valore aggiunto culturale e strategico unico, destinato ad accrescersi. Tanto da richiamare investimenti internazionali sempre maggiori, che talvolta vengono frenati dagli stessi paesi immediatamente interessati per la preoccupazione di vedere compromesse l’ambiente e le possibilità di pianificazione del proprio ulteriore sviluppo. Per buona parte, si tratta di realtà consolidate, non più appena emergenti come vorrebbe il lessico più convenzionale.

Intensificando le interdipendenze tra le diverse economie in un incessante working-progress, la globalizzazione ha ulteriormente avvicinato sotto ogni aspetto l’America Latina all’ Italia e all’ Europa. “Già eravamo cugini, adesso siamo fratelli…”, ha ricordato agli argentini il presidente Matteo Renzi nel viaggio-lampo a Buenos Aires del febbraio scorso. E altrettanto potrebbe dire ai brasiliani, ai venezuelani. Questi popoli sono cresciuti con l’apporto straordinario di decine di milioni d’italiani che fin dal 1800 ne hanno integrato e sospinto con vigore le demografie e sono stati via via tra i maggiori protagonisti delle rispettive vicende patrie. Dalla colonizzazione delle terre rese finalmente produttive alla sovrana indipendenza dei nuovi stati, non si contano i nomi italiani iscritti nei diversi Pantheon nazionali. (Dal 2012 il saldo migratorio si è nuovamente rovesciato rispetto ai decenni precedenti: gli europei trasferiti in America Latina sono più numerosi -180mila- dei latinoamericani che hanno compiuto il percorso opposto -120mila-; Simona Bottoni, in Report n.73 IsAG, marzo 2016).

Né si tratta solo di pagine di storia ormai sfogliate molte volte, tanto da suonare in qualche caso come luoghi comuni se non debitamente aggiornate e illustrate. Dalle gallerie d’arte ai campi di calcio, dai laboratori di ricerca scientifica alla collaborazione industriale la presenza italiana è concreta e visibile. La sua partecipazione alla vita economica e culturale del sub-continente americano continua ad arricchirsi ancora oggi di nuovi capitoli, con individui e imprese impegnati in prima fila nel permanente sforzo di sopravanzare i tempi e le loro sfide. Con un limite: quello di non riuscire a costituire un sistema-paese, per la mancanza di una visione d’insieme e di lungo periodo.

Queste economie sono storicamente cicliche, registrano accentuati alti e bassi periodici che con le sue spinte globali e frenate locali la globalizzazione non ha attenuato. Bisogna conoscerle. Joseph Schumpeter le avrebbe volentieri portate a esempio della sua teoria sul metabolismo della fisiologia capitalista. E oggi ne stanno vivendo una fase discendente, dopo una dozzina d’anni di grande prosperità dall’ inizio del millennio. La contrazione dei commerci internazionali e dei prezzi delle materie prime a cominciare da quelle energetiche, asse portante dei loro export, hanno prodotto negli ultimi due anni decelerazioni più o meno brusche i cui contraccolpi appaiono evidenti.

Qualche paese è sulla soglia della stagnazione, un paio l’hanno varcata entrando in recessione. Tempi non facili, dunque, che però proprio per questo permettono di constatare come ciò nonostante l’insieme dei sistemi produttivi e dei mercati interni abbia ormai raggiunto una maturità che gli consente di reggere le congiunture negative. Cosi come tengono i sistemi politico-istituzionali, pur sottoposti a fortissime tensioni per gli effetti sociali della fase critica. Gli anni nefasti delle soluzioni di forza sono il ricordo di un passato irripetibile. A uno stesso tempo, l’Italia sta assistendo e attraverso numerose imprese partite dalla nostra penisola, partecipa a questa severa e nondimeno promettente prova delle democrazie latinoamericane.

A maggior ragione tutti sono consapevoli quindi che il quadro dell’odierna America Latina non ha più nulla a che vedere con quello dei primi anni Sessanta del secolo scorso, quando l’Italia tornò ad affacciarvisi dopo la seconda guerra mondiale per iniziativa di Amintore Fanfani e le sollecitazioni della Democrazia Cristiana tedesca di Konrad Adenauer e Ludwig Erhard. Da Roma e da Bonn, i governi delle rispettive rinascite economiche così come le loro opposizioni parlamentari coincidevano comunque nell’ urgenza di riprendere e subito potenziare le relazioni dell’Europa con il mondo latinoamericano, allora più che prospero sebbene industrialmente arretrato. E Fanfani propiziò la nascita di un organismo inedito come l’Istituto Italo-Latinoamericano (IILA), che prese sede a Roma di dove ancora oggi opera.

Adeguato alle attuali esigenze, l’IILA sarebbe nondimeno a tutt’oggi un modello in grado di svolgere un prezioso ruolo di accompagnamento e integrazione delle adesso nuovamente frequenti, anche se non sempre coordinate iniziative italiane tanto pubbliche quanto private. L’esperienza richiesta per ammodernare i nostri strumenti d’intervento non manca ed ha la massima qualità. Negli ultimi due anni, il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni hanno compiuto in America Latina e ricevuto in Italia visite tempestive che hanno portato al massimo livello il lavoro preparatorio delle Conferenze Italia-America Latina e degli altri forum e incontri di vario titolo e livello. Ma non sono i soli. Per replicare in qualche modo in un momento in cui a Madrid non c’è un governo con pienezza di poteri, gli spagnoli hanno inviato ultimamente nel subcontinente un folto comitato di ministri.

La questione decisiva da risolvere per noi rimane quella di individuare con chiarezza e in tempi brevi temi e settori di massima compatibilità, tanto nell’ industria quanto nel commercio. Sui quali va costruita una strategia di grande respiro, concentrandovi risorse e tempi adeguati. Nella ripresa già in atto d’una più ampia cooperazione con l’America Latina, l’Italia ha bisogno di creare gli ambiti capaci di garantire più che mai la continuità dello sforzo. Per cui è necessario un sistema di monitoraggio che assicuri il permanente aggiustamento di rotta ad evitare slittamenti e cadute di attenzione, come tanto spesso è accaduto in passato. Le diverse potenzialità che caratterizzano i mercati latinoamericani creano varie e sempre ragguardevoli opportunità, basta saperne trarre il giusto profitto.


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