Progetto Aisha. Donne e uomini musulmani dicono no alla violenza di genere

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È partita il 5 marzo l’iniziativa che dice basta alla discriminazione di genere all’interno del mondo islamico

«Progetto Aisha nasce per contrastare la violenza contro le donne e la loro discriminazione. Attraverso questo progetto vogliamo sensibilizzare al tema e vogliamo promuovere una cultura del rispetto e dell’amore sano. Attraverso questo progetto vogliamo anche scardinare quei retaggi culturali che discriminano la donna e che giustificano atti di violenza contro di lei, contro ogni principio dell’islam», a spiegarlo, nel video che promuove l’iniziativa, è Sumaya Abdel Qader. La ricercatrice, nata in Italia da genitori giordano-palestinesi, coordina il progetto promosso dal Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, Monza e Brianza, avviato ufficialmente il 5 marzo.

Diversi le attività che saranno intraprese, a partire dagli incontri formativi rivolti agli imam, affinché imparino a riconoscere le vittime di violenza e le aiutino e guidino nel percorso da intraprendere per difendersi e denunciare gli abusi; allo stesso modo saranno erogati corsi per le mediatrici culturali, perché diventino punto di riferimento all’interno di ogni comunità islamica.

Un’attenzione specifica è dedicata alle giovani di seconda generazione: Aisha intende rivolgersi ai genitori, agli adolescenti e alle coppie, per un confronto sull’educazione sessuale e affettiva che metta in discussione pratiche, atteggiamenti discriminatori e tabù nei casi in cui essi ancora esistono.

Aisha

Se lo scopo primario del progetto è quello di combattere le discriminazioni e la violenza di genere, cercando di raggiungere tutti gli attori coinvolti e fornendo un supporto concreto alle donne, non è da trascurare anche quello secondario: sradicare lo stereotipo che vede la donna musulmana relegata a un ruolo di inferiorità e sottomissione all’interno di un contesto famigliare dominato dal marito o padre padrone.

L’esistenza stessa del progetto dimostra che lo stereotipo non corrisponde alla realtà: senza negare l’esistenza di criticità e discriminazioni all’interno di alcune famiglie musulmane – che si verificano anche in contesti non musulmani – intende mostrare che un modello basato sul rispetto reciproco e sulla parità non solo è possibile, ma è già diffuso.

Un’intervista a Sumaya Abdel Qader è disponibile qui.

Da cartadiroma


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