La protesta del writer Blu

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Ha usato il colore grigio, il più anonimo, quello che si ottiene miscelando in parti uguali i tre colori primari, giallo rosso e blu, che annullandosi virano appunto al grigio. Con secchi di vernice, rulli, raschietti e manodopera ha cancellato pennellata dopo pennellata tutti i suoi murales a Bologna.

Un gesto clamoroso e politico quello del writer Blu, uno dei più intelligenti e quotati nel panorama mondiale della street-art, che in venti anni ha donato a Bologna pareti e facciate con opere diventate simboli di periferie, che diversamente sarebbero tutte uguali fra loro.

Lo ha fatto per protestare contro una mostra che aprirà a giorni in città, in cui verranno esposte opere di alcuni fra i più famosi writer in circolazione: da Banksy a Erailcane, a Blu appunto. Il problema è che non tutti gli artisti che esporranno nelle stanze di palazzo Pepoli hanno dato il loro consenso, le loro opere sono state comunque staccate dai muri dove erano state dipinte lasciando anche qualche dubbio di carattere legale. Uno strano modo di celebrare la street-art, togliendola appunto dalle strade e dalla disponibilità di tutti, soprattutto degli abitanti di periferie degradate come la Bolognina, per rinchiuderla in un museo e riservarla solo a chi può pagare un biglietto.

“A Bologna non c’è più Blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno. Per ringraziamento o lamentele sapete a chi rivolgervi.”, questo il commento laconico dell’artista, che non è nuovo a gesti così clamorosi. Due anni fa a Berlino cancellò due grosse opere per protestare contro la gentrificazione del quartiere di Kreuzberg diventato negli anni di tendenza, facendo perdere di senso i suoi murales di critica all’opulenza.

Perché il writing nasce e si fonde nel contesto in cui viene creato, spostare i murales anche di un isolato rischia di darli un altro significato, figuriamoci staccarli e inserirli nelle sale affrescate di un museo. E’ come spezzare un corallo e usarlo come soprammobile. La street-art è per definizione pubblica, privatizzarla, portarla via, far pagare per ammirarla, significa in qualche modo spegnerla. La pensa così Ericailcane, altro artista di strada di fama mondiale che per primo ha tuonato contro Genius Bononiae, la potente istituzione culturale bolognese organizzatrice della mostra, e sul suo sito ha scritto accanto ad un grosso ratto che si mangia per l’appunto un muro: “Per tutti quelli che non rispettano il bene comune ed il lavoro altrui, capaci solo di rubare e vivere da parassiti”.

Il collettivo Wu Ming, a cui Blu ha affidato le poche righe di commento, aggiunge: “Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade”.

Non a caso tutto questo succede a Bologna in cui si avverte un forte cambiamento, una città che si scopre fragile e talvolta impaurita, che si arrocca su posizioni spesso contraddittorie. Come nel caso di un’altra artista bolognese d’adozione, Alicè, apprezzata in tutto il mondo, ma multata a proprio a Bologna per alcuni suoi dipinti, proprio negli stessi giorni in cui i curatori della mostra giravano per la città per staccare dai muri i lavori da inserire nella mostra. Non importa se sia arte o meno, ha detto il giudice, così i suoi lavori sono stati cancellati. Ma in un triplo salto mortale, a essere denunciati sono anche tre attivisti dei centri sociali che hanno aiutato Blu a cancellare una delle grandi opere bolognesi. Insomma denuncia per chi disegna e denuncia per chi cancella.

Scrive Wu Ming: “contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte”.

Mercato che gongola, perché questa polemica alla fine sarà un grande spot per la mostra che vuole salvare i graffiti, ma non i graffitari, destinati o a finire in un museo o in un tribunale.


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