La lezione di Don Peppe Diana che le giovani generazioni non devono dimenticare

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Due giorni fa, 19 marzo, c’è stato in Italia un altro anniversario che non è stato ricordato neppure dalle poche testate che hanno dedicato spazio alla strage fascista e nazista di Marzabotto ed è il ricordo dell’uccisione, a Casal di Principe (diocesi di Aversa e provincia di Caserta) di don Peppe Diana, parroco, alle sette e mezzo di quella mattina di ventidue anni fa. I killer della camorra campana hanno deciso di colpire nel corridoio che dalla sagrestia porta alla Chiesa mentre stava per iniziare la messa. Il parroco, nelle sue omelie,denunciava le connivenze della politica locale e nazionale con l’associazione criminale. Ed è per questo che è stato zittito con le armi. Come don Puglisi in Sicilia, don Peppe Diana lavorava dal basso e scavava negli animi dei ragazzi dimostrando che c’era anche una parte della Chiesa che non era disposta a piegarsi.
Per ricordarlo è il caso, come già hanno fatto ieri quelli che sono andati in quella che qualcuno definisce la capitale del Clan dei Casalesi, di citare la sua predica più famosa che venne letta in tutte le chiese di Casal di Principe il 25 dicembre del 1991. Si chiamava “per amore del mio popolo non tacerò” e il sacerdote disse: “la Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante, parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e di intermediarii che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche costituzionali, della sanità non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi, un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini, “. Don Diana era anche critico rispetto alle carenze della Chiesa e sottolineava:” L’azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una ministerialità di libe
razione, di promozione umana e di servizio.”
E ancora diceva in quell’occasione:” La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno regole inaccettabili, regole inac
cettabili estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre di più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento ed oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali, scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone… La Camorra rappresenta uno Stato parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e di intermediari i che sono la piaga dello Stato legale. ..Il nostro impegno non deve e non può venir meno. Dio ci chiama ad esser profeti.”
Una lezione quella del parroco di San Nicola che le giovani generazioni non possono e non devono dimenticare, se si vuole nel nostro Paese mantenere ancora viva la speranza di combattere le associazioni mafiose con qualche effettiva probabilità di riuscire a farcela in questa Italia che cerca di lasciarsi alle spalle la troppo lunga crisi economica e morale.


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