Il Partito della Nazione non approdi in edicola

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Per una volta, abbiamo deciso di fidarci: della professionalità dei colleghi, della saggezza di editori storici nel panorama del giornalismo italiano, della forza di una tradizione culturale che affonda le proprie radici, nel caso de “La Stampa” di Torino, addirittura negli anni in cui si formava lo Stato unitario e la capitale non era stata ancora trasferita a Roma. Vogliamo fidarci e siamo certi che i fatti non ci smentiranno.

Tuttavia, dovendo svolgere il nostro ruolo di “guardiani” della libertà d’informazione e avendo stigmatizzato con vigore la fusione editoriale fra Mondadori e Rizzoli (la stessa che indusse Umberto Eco a parlare di “Mondazzoli” e a lanciarsi, a ottantatre anni, nell’impresa di fondare La nave di Teseo), partendo da questi presupposti, non possiamo che guardare con un pizzico di scetticismo alla fusione, annunciata ieri, fra il gruppo editoriale L’Espresso e ItEdi, ossia la holding che controlla “La Stampa” e “Il Secolo XIX” di Genova.

Può anche darsi, infatti, che abbiano ragione loro, che il nuovo mondo globale richieda l’unione delle forze, che le vecchie distinzioni localistiche non abbiamo più senso, in un contesto nel quale la notizia d’apertura riguarda spesso fatti avvenuti a migliaia di chilometri di distanza da noi, può darsi che il colosso editoriale che sta nascendo si rivelerà un clamoroso successo e che la libertà e il pluralismo dell’informazione non subiranno alcun danno, anzi ne trarranno solo benefici; può darsi, ma può anche darsi che accada l’opposto e sarebbe una tragedia, innanzitutto per il prestigio di testate storiche dalle quali dipende non solo la diffusione delle notizie ma la crescita stessa, culturale e civile, del Paese.

Se pensiamo a “La Stampa” e a “la Repubblica”, di fatti, non ci viene in mente solo un contenitore, un network, un organo d’informazione come altri che sono nati, sia a livello cartaceo che a livello radiofonico, televisivo e digitale, negli ultimi anni; le due testate sopra citate sono molto di più e, se dovessero subire una mutazione genetica, ne risentirebbe non solo la qualità, già bassa, dell’informazione ma il tessuto civico, sociale e politico dell’Italia.

Giornali così, infatti, rispondono perfettamente alla definizione di comunità, di pensatoi, di luoghi di critica e di confronto costruttivo fra idee differenti, di palestre di dignità, di grandi soggetti aggregativi che spesso hanno avuto il merito, in questa stagione di acuta crisi dei partiti, di svolgere un’attività politica preziosa, intesa nel senso di una partecipazione costante e benefica al dibattito pubblico, rilanciandolo e riconducendolo sui binari della discussione proficua sui temi del nostro tempo.
Un patrimonio da non disperdere, dunque, uno sguardo sul mondo, un orizzonte ampio e in grado di traghettare anche le asfittiche forze politiche del presente lungo il difficile percorso dell’analisi e della riflessione, uscendo dalle consorterie, dalle camarille interne, da un dibattito autoreferenziale e di nessun interesse per la maggior parte dei cittadini; un esempio di collettività in cammino connessa col mondo e virtuosa nel confrontarsi costantemente con le testate che determinano il formarsi dell’opinione pubblica nelle altre società occidentali.

Il nostro auspicio è che questa fusione rafforzi questo patrimonio, che favorisca l’ingresso di nuove leve, che metta in moto il processo di rinnovamento di cui anche nelle redazioni si avverte il bisogno, senza lasciarsi andare a tendenze e pratiche rottamatorie il cui risultato, come abbiamo visto a livello politico, è stato unicamente quello di rinnegare la storia e la tradizione culturale dei soggetti originari, senza arrecare alcun vantaggio a un dibattito pubblico sempre più cupo e incattivito e ad un contesto politico snaturato e respingente nei confronti di milioni di persone rimaste senza rappresentanza.

Confidiamo, pertanto, nella validità delle rassicurazioni che ci sono state fornite dai diretti interessati, nei legami storici fra gli Agnelli e i Caracciolo, nella competenza e nella costante difesa dei principi liberali da sempre portata avanti da De Benedetti, nel valore aggiunto costituito da decine di colleghi di straordinaria qualità, nell’amor proprio e nel senso di responsabilità di professionisti di prim’ordine che hanno scritto la storia di entrambe le testate; confidiamo in loro affinché mai si verifichi quel “disincanto della rappresentanza” di cui parlava qualche giorno fa Ezio Mauro su “la Repubblica” a proposito delle classi politiche occidentali, con la nascita di una sorta di Partito della Nazione in Edicola (PDNE) che, se ci rattrista nell’ambito parlamentare, non potrebbe che farci inorridire nel caso in cui dovessimo un giorno sfogliarlo e leggerlo, accorgendoci che è venuto meno un baluardo della nostra società.

Contrastare il pensiero unico, continuare ad essere una stecca nel coro del conformismo asfissiante col quale siamo chiamati a confrontarci in questa stagione iper-mediatica e, al tempo stesso, anti-politica o, peggio ancora, post-politica, fare politica nel senso di coltivare una nobile passione civile fondata sull’impegno quotidiano di tutti e di ciascuno, restituire, dopo trent’anni di liberismo arrembante, il piacere e il senso di vivere ogni esperienza con lo spirito di una collettività inquieta, mai paga e costantemente alla ricerca di una meta e di un destino comune, restare protagonisti in un’epoca di cambiamenti turbolenti e difficili da controllare e, infine, non chinare mai la testa di fronte a nessun potere, qualunque sia il suo colore o la sua visione del mondo: questa è la sfida che il colosso editoriale che vedrà la luce nel 2017 ha di fronte ed è bene che ne sia cosciente fin da subito e si prepari al meglio ad affrontarla.

Convinti che sarà così, continueremo a leggervi, con l’entusiasmo di amici veri, di colleghi appassionati, di semplici cittadini che non si rassegnano a vivere in un Paese drammaticamente ingiusto e si battono, come possono, per renderlo migliore.


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