Fuocoammare. Rosi ci fa capire che i naufraghi siamo noi

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Anche un premio può essere un naufragio. Come l’Orso d’Oro che Gianfranco Rosi stringe tra le mani a Berlino, per il suo documentario Fuocoammare, sui profughi che sbarcano a Lampedusa. Dedicato a chi non ce l’ha fatta, ai  corpi che galleggiano nel Mediterraneo, come zattere di carne gonfie d’acqua e sogni. Il naufragio della coscienza della fortezza Europa, che alza i muri e rimuove il rimorso, premiando chi ha ancora la pietà per guardare, capire, patire.

Importante il riconoscimento a Rosi. Ma c’è sempre il pericolo che il rito (la premiazione) ammazzi la prassi (l’integrazione). Importante come abbia parlato della gente di Lampedusa, riprendendo il filo dal film Terraferma di Crialese del 2011, ma senza neanche la precauzione di una trama, con documentario essenziale e poetico, di gente ruvida e di mare, che non abbraccia chi arriva, ma vive e lascia vivere.
Rosi ci fa capire che i naufraghi siamo noi, che stiamo annegando nel cinismo della paura. Che c’è un nuovo Olocausto. Che le camere a gas esistono ancora. E sono le stive chiuse dei barconi dove muoiono senza aria uomini, donne, bambini perseguitati dall’egoismo. L’ideologia del nuovo nazismo, che fa ancora toccare uomini e filo spinato.

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