Casal di Principe e i killer camorristi

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Molti in Italia hanno saputo negli ultimi tempi che il Comune di Casal di Principe, nella provincia di Caserta, in Campania è il feudo del più potente clan camorristico del nostro Paese, quello dei Casalesi di Nicola Cosentino, una volta potente sottosegretario di Berlusconi in uno degli ultimi governi o di Antonio Iovine, protagonista come personaggio in televisione del film Sotto copertura che è andato in onda nei giorni scorsi e tutti e due attori principali sotto altre spoglie della serie Gomorra che già una volta è stata seguita da milioni di spettatori in molte case della penisola.

Ora accade che il sindaco di quel Comune si chiama Renato Natale ed è stato eletto dagli abitanti su una piattaforma politica che è contro la camorra e i suoi killer. Oggi il Tribunale di Napoli ha risposta a una richiesta del Comune che si è costituita come parte civile in un procedimento in cui si chiede un risarcimento ai camorristi per il grave danno all’immagine del Comune portata con i loro delitti. A conclusione del rito abbreviato all’interno del processo per l’uccisione di Giliberto Cecora avvenuta il 16 marzo del 1994 nel paese i sicari riconosciuti colpevoli dovranno risarcire il Comune per i danni arrecati alla sua immagine.

La motivazione afferma che oggi dire che un cittadino è un”casalese” significa attribuirgli l’appartenenza tout court all’associazione mafiosa campana. Ed è simbolico che questo accada  nel processo per l’omicidio di Cecora ,legato in maniera indissolubile a un altro fatto di sangue che ha segnato Casal di Principe: la morte del sacerdote don Giuseppe Diana che avrebbe pagato con la vita il rifiuto di celebrare proprio i funerali di Cecora.  Don Peppino morì tre giorni dopo quel delitto, il 19 marzo 1994.  Il sindaco anticamorra è contento perché la sentenza è “un simbolo, si riconosce il disagio dei casalesi. Finalmente si riconosce il grande disagio dei casalesi, quelli veri, di noi cittadini onesti. Questo clan  si è appropriato persino del nostro paese che è diventato sinonimo di criminalità. L’avvocato del Comune,Gianni Zara ricorda che altri paesi si erano costituiti parte civile in processi contro i clan della camorra. “Ma in quel caso-afferma il legale-gli imputati rispondevano del reato previsto nel 416 bis(l’aggravante mafiosa, insomma) Questa è la prima volta nell’ambito di un processo per omicidio anche se si tratta di un delitto di camorra. E poi si tratta di Casal di Principe e il Comune con i precedenti sindaci qui non si era mai costituito parte civile.”

Nel processo per l’uccisione di Cecora, affiliato al Clan dei Casalesi,  sono stati condannati a 30 anni Salvatore Cantiello e Giuseppe Dell’Aversana e a 9 anni Domenico Bidognetti, Luigi Diana e Francesco Cirillo. E’ ancora in corso invece il processo con rito ordinario contro Walter Schiavone, fratello di Francesco Schiavone noto come “Sandokan”, anche lui accusato di omicidio. Tre giorni dopo, come si è già ricordato, fu ucciso don Peppino Diana che non aveva accettato di celebrare i funerali di Cecora. Gli inquirenti hanno sempre collegato i due delitti “anche se-spiega oggi il sindaco Natale– il processo ha ampiamente dimostrato che il gruppo criminale che l’ha ucciso ha voluto compiere un delitto eccellente anche per bloccare l’avanzata degli avversari.”

Ad uccidere materialmente il sacerdote fu Giuseppe Quadrano, nipote di Cecora: Si consegnò alla polizia e inizio a collaborare  indicando Nunzio De Falco come mandante dell’omicidio.  “Se fosse qui-ricorda sempre il sindaco di Casal di Principe- gli racconterei di quanto è stato difficile superare il dolore per la perdita di don Peppino Diana. Ma anche di quanto la sua morte sia stata l’inizio di un processo lungo di rinascita. Abbiamo spesso la sensazione di essere da soli, come dopo la sua scomparsa. Lui presto sarà beato ed io mi raccomando: a noi pensaci tu.”


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