Vogliamo urlare il nostro essere umani

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Articolo21 ha aderito, a Venezia davanti alla Mostra del cinema e in tutte le altre città italiane coinvolte, alla “marcia delle donne e degli uomini scalzi”. Gli scalzi di inizio millennio sono coloro che migrano, si trasferiscono in massa da un paesaggio all’altro, attraversando i mari e monti della Storia: prima ancora che della Geografia, che forse non è mai stata così politica. Corpi indeboliti dalla guerra e dalla fame cercano una terra meno nemica e un’accoglienza umana, oltre che civile. Alla ricerca di un’identità da ricostruire, negoziandola forzatamente con leggi e regole altrui. Tra l’altro, con l’eredità di testi e trattati ingialliti e travolti dagli eventi. Di fronte al numero impressionante di morti nei barconi o nei Tir, o ai caduti in qualsiasi modo nel Viaggio, la stessa discussione un po’ conflittuale un po’ perbenista sul “multiculturalismo” rischia di diventare pura retorica. Qui e ora siamo ad un capitolo cruciale dello svolgimento del Globale: internazionali non sono solo i capitali e le finanze, bensì innanzitutto i cittadini senza frontiere, laddove le diversità etniche e culturali si intrecciano, meticciandosi. Inizia un altro Tempo. Gli esseri viventi non saranno più gli stessi tra pochi anni, quanto alla pura appartenenza allo stato-nazione, quanto alla fisionomia antropologica.
Ma perché è cambiato almeno in parte l’atteggiamento della Germania e di paesi restii finora a prendere atto della realtà, asimmetrica rispetto la libro dei sogni evocato in mille dissertazioni sulle magnifiche sorti e progressive del mappamondo? Il discorso è complesso e dovrebbe toccare la macroeconomia, la scarsa natalità dell’occidente, l’urgenza di reperire forza lavoro semplice e complessa disponibile per necessità a subire i vari Jobs Act in circolazione. Probabilmente, però, è avvenuto un fenomeno messo in luce dalla stessa ricerca mediologica: “l’interazione faccia a faccia”, quella diretta, in grado di varcare i mezzi “freddi” della scrittura e del video. Forse, la rivincita della crudezza analogica nei riguardi dell’astrattezza numerico-digitale. Si è giustamente parlato anche di questo, quando è apparsa la foto-shock del bimbo siriano morto sulla battigia di Bodrum in Turchia. Potenza della fotografia, scriveva Walter Benjamin. Ci ha detto “faccia a faccia” il piccolo cadavere di Aylan che il dramma non tocca unicamente le masse in movimento, lontane e divenute persino un flusso “normale” nelle news quotidiane. No. L’istantanea -in analogia con la realtà- ci interpella sul ragazzino della porta accanto, che siamo abituati a vedere come uno di noi, vestito –come si dice- con abiti borghesi. Sono morte in quel momento le consolidate categorie di analisi, buoniste o cattiviste ma centrate sulla dicotomia “noi/loro”. Attenzione, però. Il mostro che si nasconde nei bassifondi della cultura di massa è sempre in agguato. Xenofobia, odio razziale, caccia all’untore violenza, voglia di guerra sono lì, sotto il tappeto. Nella cadente Europa esistono partiti e partitelli cinicamente parlanti ai Diavoli che stanno nei non luoghi del disagio sociale e della disperazione: l’effimera resurrezione delle destre post-fasciste. Pure in Italia ne vediamo le sembianze e ne sentiamo l’assordante rumore di fondo in svariati talk televisivi. Ecco perché la marcia degli scalzi è una bellissima iniziativa, perché vogliamo camminare tutti insieme, perché Papa Francesco ci coinvolge, perché aderiamo alla “Carta di Roma”. Perché vogliamo urlare –invece- il nostro essere umani.
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