Tenebra bianca –  “La verità e altre bugie”  di Sascha Arango  

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Il romanzo è un giallo, ma la definizione non gli calza a misura perché la qualità letteraria è alta, la trama densa, pervasa di ironia, di cinismo, di una rara capacità di analisi del cuore umano.  Un critico influente ne ha parlato come del “migliore esordio del 2015”, e in Italia è pubblicato da Marsilio in veste cartonata di gusto vintage. L’ha scritto Sascha Arango un noto sceneggiatore di madre tedesca e padre colombiano; se si inizia a leggerlo è impossibile staccarsene, le 250 pagine si ingoiano in un sorso. Forse perché la storia combina in sapienti dosi tossiche le nitide geometrie a suspense di Hitchcock e il fascino morboso di Raymond Chandler.  Il protagonista, che è anche il colpevole – “Ma può un uomo essere colpevole?” si domandava  Franz Kafka ne “Il processo”– si destreggia in un’esistenza doppia e tripla con la consumata naturalezza di un attore brillante della grande  Hollywood, Cary Grant, William Holden, quel tipo d’uomo di cui s’è perso il modello.

Si chiama Henry Hayden (un suono per nulla innocente, in inglese ‘nascondere’ si pronuncia haid), autore di bestseller osannati che in realtà è l’innamoratissima moglie Martha a creare notte tempo, lasciandogliene volentieri la paternità: “La letteratura non mi interessa, io voglio solo scrivere”. Così è Hayden a occupare con il suo “pomposo ritratto” il retro di copertina di ogni libro, è lui a raccogliere tutti i  vantaggi della ricaduta mondana, i premi, l’ammirazione, le immancabili infatuazioni delle lettrici abbagliate dalla sua personalità. Anche Betty, la editor della casa editrice nella quale Henry è trattato come un idolo, lo ama follemente in segreto al punto da rimanerne incinta e, come tante donne giunte a quella soglia, risoluta a non tornare indietro. Ma Henry è legatissimo alla moglie che gli consente, con discrezione, di vivere al centro di ogni appagamento, nel recinto protetto di una villa di lusso e con la rombante Maserati alla porta.

Lui la venera almeno quanto desidera carnalmente Betty, bionda prorompente con le curve di Lana Turner: “E’ il mio trofeo, la mia musa, la mia schiava, la disprezzo. Siamo complici, i miei istinti più bassi la eccitano, idolatro i suoi piedi…”  Un fatale triangolo da delitto, nel quale tuttavia il caso, o forse il destino, imbroglia capricciosamente le carte partorendo un enigma irrisolvibile per la polizia. L’ispettore Jensen, che ricorda il detective Paul Drake di Perry Mason, alto, biondo e muscoloso, è convinto a pelle che alcuni tragici avvenimenti siano proprio da ricondurre al famoso scrittore, eppure né lui né il capo della squadra criminale Blum, ritenuto un logico imbattibile, riescono a venire a capo di nulla. La vita infatti ha una trama ben più sottile di qualsiasi equazione, e l’insondabile mistero del cuore umano è sempre il luogo più tenebroso in cui rovistare. Arango lo sa, annoda fili e ricama parole con dita sapienti: “La vita ti dà tutto, ma mai in una volta sola”; “Se Dio è sinonimo di natura non c’è motivo di dubitare della sua esistenza”; “Il passato è solo ricordo, ovvero pura finzione; solo il presente è certo, offre spazio alla realizzazione e poi svanisce subito”. La vicenda è ricca di personaggi scalpellati a vigorosi colpi di mazzuolo: l’anziano editore Claus Moreany, innamorato a sua volta di Betty e incurante della segretaria Honor Eisendraht, esperta di tarocchi e di poteri occulti delle piante, da sempre infatuata vanamente di lui.  Poi c’è uno straordinario Calibano, il pescatore bosniaco Obradin Basaric, che ogni tanto precipita nell’orrore di un passato di guerra e di stragi, e allora scende in cantina e per qualche giorno si lascia tramortire dall’alcol. L’unico che forse sa, che ha visto o intuito col cuore più che con gli occhi, ma tiene la bocca serrata.

C’è  Poncho, il cane hovawart (razza germanica a pelo lungo nero focato), allegro ma prudente, capace di stare al suo posto. C’è Gisbert Fasch, antico compagno d’orfanotrofio, di letti a castello in camerate gelide, di soprusi; da sempre invidioso di Henry al punto di distruggersi pur di riuscire a distruggerlo: “Chi trova il proprio nemico per la vita non ha più bisogno del dottore”.  C’è la leggiadra, “tutto in lei attraeva”, giovane figlia della sindachessa del paese: “Sonja uscì dal bagno degli ospiti nuda, con un asciugamano avvolto come un turbante intorno alla testa”; “lui succhiava in silenzio la pipa fredda, immaginando che fosse il suo clitoride”. C’è ancora una martora implacabile, rintanata nel sottotetto della villa, che non si lascia catturare e pianta i suoi denti aguzzi sul polso di Hayden fin dentro i tendini. Inoltre c’è un passato torbido e funesto, una casa di travi marce che pencolano sul vuoto. E c’è l’ultimo romanzo inconcluso, “Tenebra bianca”, già miliardario ancor prima di uscire, arca del mistero della scrittura e del mot juste: “La ricerca della parola giusta aveva spinto Flaubert fuori casa di notte, Proust a letto, Nietzsche alla follia…”  Infine, incombente come un sortilegio, c’è l’ultimo ironico messaggio di Martha scritto a margine del foglio ancora infilato nella macchina da scrivere: “Riesci a indovinare come andrà a finire?”


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