La cooperativa “Valle del Marro” e la sfida ‘ndranghetista

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di Toni Mira*

La ’ndrangheta non vuole proprio arrendersi a chi, con coraggio, ha scelto di sfidarla sul terreno del lavoro pulito, onesto, che dà speranza e crea cambiamento. E torna a colpire con tracotante e simbolica violenza. Approfittando anche di preoccupanti silenzi e carenze delle istituzioni. È il grave senso del nuovo attentato alla cooperativa Valle del Marro, nata su iniziativa della diocesi di Oppido-Palmi e di Libera, con il sostegno del Progetto Policoro della Cei, per coltivare terreni confiscati nella Piana di Gioia Tauro. Sono 96 gli ulivi tagliati nella notte di lunedì in località Baronello, a Castellace, frazione di Oppido Mamertina. Nel cuore della storia e del potere del clan Mammoliti, cui nel 2005 sono stati tolti i terreni oggi affidati alla cooperativa, situati proprio a fianco delle ville della potente “famiglia” alle quali continuano ad accedere attraverso una strada costruita abusivamente sul terreno confiscato, reato commesso da anni e tollerato da tutte le istituzioni, da quelle locali (il comune di Oppido, come prevede la legge, è il proprietario dei beni confiscati), a quelle nazionali, ministri compresi, che pure proprio qui hanno più volte portato solidarietà in occasione di altri attentati.

Già perché la Valle del Marro, nei suoi 10 anni di vita ha il poco invidiabile record di almeno venti atti intimidatori tra incendi, tagli, danneggiamenti, furti. L’ultimo pochi mesi fa a un agrumeto a Gioia Tauro. Ma è proprio a Castellace che si è accanita la violenza mafiosa. In particolare sull’uliveto di 11 ettari di località Baronello. Fin dall’inizio, quando il pozzo artesiano viene riempito di pietre e reso inservibile. Nel 2011 un incendio doloso distrugge 500 alberi secolari, mandando in fumo quattro anni di lavoro per ripristinare la produttività dell’uliveto che dopo la confisca era stato a lungo abbandonato. Un anno dopo a essere distrutto dalle fiamme è un grande escavatore confiscato alla cosca Crea di Isola Capo Rizzuto e assegnato alla cooperativa, che era all’opera su quel terreno per i lavori di espianto degli alberi bruciati. Ma i giovani, cresciuti col loro parroco don Pino Demasi e con la convinzione di «restare per cambiare e cambiare per restare», non mollano e nel 2013 mettono a dimora 1.200 piante di ulivo, restituendo nuova vita a quel terreno.

Hanno forza, ma troppo spesso soli. Lo aveva scritto il gip nell’ordinanza di custodia cautelare per i Mammoliti nel 2012 in occasione di un altro attentato (500 ulivi tagliati) in un terreno vicino. «I giovani della Cooperativa Valle del Marro sono gli unici, sul territorio che non si sono lasciati intimidire dalla figura del Mammoliti e da ciò che lo stesso ha sempre rappresentato, richiedendo e ottenendo l’affidamento delle terre loro confiscate».

La coraggiosa testimonianza di questi cooperatori aveva portato alla condanna a 14 anni del boss Saro Mammoliti, al termine di un processo nel quale, dopo la pubblica denuncia di “Avvenire”, si erano costituiti parte civile ben tre Ministeri. Ma quella condanna evidentemente non è stata sufficiente. O, forse, quella di due giorni fa è la “vendetta” che, purtroppo, coma sa bene chi vive in quelle terre, prima o poi arriva. E che proprio per questo andrebbe non solo prevista. ma prevenuta. Con gesti concreti, accanto alle belle parole di solidarietà. Oltre tutto quest’ultima intimidazione colpisce la cooperativa in un anno molto difficile a causa del cattivo raccolto di olive e della conseguente crisi dell’olio. Che non ha risparmiato l’olio della Valle del Marro. Ottimo e perciò premiatissimo, ma soprattutto limpido in tutti i sensi. Come le scelte della cooperativa, nata e cresciuta grazie a una Chiesa locale che non ha paura di sporcarsi le mani testimoniando il Vangelo con gesti profetici.

Così «il sogno si fa segno», coi prodotti delle terre strappate alla violenza ’ndranghetista, col lavoro pulito, con l’integrazione di persone in difficoltà (nella Valle del Marro lavorano disabili, immigrati e ci sono progetti per detenuti minorenni).

È questo che la ’ndrangheta ha voluto colpire tagliando i giovani ulivi. «Ognuno di questi tagli è come un colpo vibrato al cuore», dice il presidente della cooperativa, Domenico Fazzari, uno dei “ragazzi di don Pino”. «È un grande dolore vedere spezzata la fragile vita di una pianta in crescita», aggiunge, Sergio Casadonte, instancabile vicepresidente, handicap portato con allegria. «Malgrado questa nuova intimidazione, restiamo sereni. Continueremo ad andare avanti con l’impegno e la motivazione di sempre, fiduciosi nell’intervento delle autorità», assicurano. Autorità che ora devono assolutamente confermare questa fiducia con fatti concreti. Per tutta l’estate centinaia di giovani di tante regioni, gruppi scout, parrocchie, associazioni, saranno qui per i campi di lavoro donando parte delle vacanze a chi difende anche per noi la prima linea della libertà dalla sopraffazione mafiosa. Loro saranno in campo, stando sui campi. Le istituzioni della Repubblica, tutte, non possono esser da meno.

* Toni Mira, giornalista de “L’Avvenire”

Da liberainformazione.org


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