Metadone! Caffè del 23

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Guerra. La parola antica riecheggia e, per i poveri di spirito, “è meglio di una scopata”. Come ebbe a dire Emilio Fede. “La guerra di Renzi”, scrive L’Espresso. “Sì all’opzione militare”, il Giornale, che aggiunge “passa l’opzione Pd Forza Italia”. “Renzi e B vanno alla guerra”, conferma il Fatto. Per il manifesto, “L’Unione fa la guerra”. Nessun essere raziocinante è convinto che possa funzionare. Forse neppure Renzi, che, ieri in Senato, ho sentito attorcigliarsi su se stesso, declamare una poesia che non c’entrava, incapace di trasmettere un’emozione, preoccupato del voto di maggio.  Mario Deaglio, Stampa: “E’ chiaro che un problema del genere (l’immigrazione) non si risolve, al massimo si rinvia, con «soluzioni da bar» come quella di affondare i barconi prima che partano”. Lucio Caracciolo, Repubblica: “Alla fine, non potremo però sfuggire al dovere di accogliere. Se esistono ancora dei valori europei, se l’Unione Europea non è solo una parola vuota o il nome contemporaneo dell’ignavia”. Sergio Romano, Corriere: “Non è possibile impedire che uomini, donne e bambini continuino a fuggire dalla Siria, dall’Iraq, dal Sudan, dal Congo e dal Kenya”. Mettiamo pure – se ne siamo capaci – i mercanti di morte in condizione di non nuocere, ma evitiamo di corteggiare i disperati che votano per Le Pen e Salvini, perché dandogli ragione faremo più forti Salvini e Le Pen.

Metadone. “Lo storytelling di Renzi racconta un paese che non c’è. Non aiuta a stare meglio, è metadone”. Così si congeda Enrico Letta, prossimo professore a SciencesPo. “Dal premier bulimia del potere”, dice uno che se ne intende, Silvio Berlusconi. Ormai è solo. Circondato da Boschi e Lotti, da un’impassibile Madia, che ieri sembrava stordita mentre il relatore perdeva la bussola e il Senato le strapazzava la riforma della P.A. Solo, davanti all’evidenza di riforme fatte con i piedi: quella della scuola non la difende neppure chi l’ha scritta – riflessione di Renzi -, quella del Senato la vorrebbe cambiare lui stesso, perché nella foga di spianare Chiti e Mineo s’è fatto scrivere un testo che provocherà migliaia di ricorsi. Solo, con l’Italicum approvato in commissione grazie a 10 piccoli crumiri del Parlamento, e che, dopo la Liberazione, arriverà in aula. “No al voto segreto”, dice la Boschi. Repubblica prova ancora a crederle: “Voto segreto, ultima battaglia dell’Italicum”.

 

L’Italicum e il gioco dell’oca. Con questa legge “si ritorna alla casella di partenza, come nel gioco dell’oca”, scrive Giovanni Belardelli sul Corriere. Fatta per far vincere il Partito della Nazione, sarà la fossa del bipartitismo e segnerà il ritorno “a una condizione molto simile a quella che il Paese ha già conosciuto per tanta parte della sua storia”, con la dittatura della Democrazia Cristiana e, prima ancora, del Partito Liberale di Giolitti. Sulla rivista Il Mulino, invece, Augusto Barbera difende la legge che avrebbe “più pregi che difetti”. Mi limito e riproporre l’incipit del Barbera pensiero: “In 100 collegi plurinominali sono presentate liste di candidati in ordine alternato per sesso. La distribuzione dei seggi avviene con criteri proporzionali, escluse le liste che non abbiano raggiunto il 3% dei voti validi. Alla lista più votata che raggiunga almeno il 40% dei voti validi è attribuito un premio di maggioranza: 340 seggi sui 630 deputati”. È così? Peccato che sia previsto il ballottaggio se, come è assai probabile, nessuna lista raccoglierà il 40% dei voti. Il ballottaggio tra due leader, una sorta di giudizio di Dio, chi vince arraffa 130 seggi in più e governa. Questa è la cosa con cui voteremo. Tutto il resto sono balle. Come D’Alimonte ribadisce al Fatto l’elezione diretta del Premier, senza nemmeno dirlo. Un colpo di mano, incostituzionale

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