Le donne di Kabul e le donne di Mersin hanno trasformato il dolore del lutto in ribellione

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Hanno sfidato le regole religiose che vieta loro di partecipare al rito della sepoltura. Le hanno sfidate per accompagnare Farkhunda nel suo ultimo viaggio,  per starle vicino fino alla fine, per lanciare dei fiori sulla sua bara prima di coprirla con la terra. Sono le donne di Kabul che con questo gesto hanno voluto urlare tutta la loro rabbia e il loro dolore per l’assassinio di una ragazza, una come loro, una di loro. Uccisa a colpi di calci e botte. Bastonata e poi bruciata dalla folla, il corpo gettato nel fiume. Il tutto sotto lo sguardo immobile della polizia. Ammazzata perché aveva bruciato delle pagine del corano – hanno detto i suoi giustizieri. Ma non era vero. Farkhunda aveva 27 anni, era giovane, studiava, pregava e aveva diritto a vivere la sua vita. Per questo le donne di Kabul sono andate al funerale, hanno messo la bara con il corpo devastato di Farkhunda sulle loro spalle coperta di fiori colorati. L’hanno deposta dentro alla fossa e l’hanno spalato la terra fino a coprirla.

Anche le donne di Mersin in Turchia un mese fa avevano accompagnato il feretro di  Aslan al cimitero. Per la prima volta non hanno accettato di stare dietro, dietro agli uomini, lontane dalla sepoltura. Hanno coperto di terra con le loro mani il corpo di Aslan uccisa a colpi di pugnale, il corpo bruciato e nascosto nelle sponde di un fiume. Perché aveva opposto resistenza all’uomo che voleva violentarla.

Le donne di Kabul come le donne di Mersin con questo gesto hanno voluto dare voce alle migliaia di Farkhunda e di Aslan, vittime della violenza maschile e maschilista. Hanno voluto che la sepoltura delle due ragazze non seppellisse anche la loro richiesta di giustizia.

Le donne di Kabul e le donne di Mersin hanno voluto trasformare il dolore del lutto in ribellione. “Questo è un crimine contro la famiglia, contro una sorella, contro l’umanità” hanno gridato le donne afghane. “Non stiamo piangendo, ci stiamo ribellando” hanno urlando le ragazze di Mersin.

In India le donne avevano scelto il silenzio dopo la morte di Damini, stuprata da un branco su un autobus e percossa a morte. Voglio vivere – erano state le sue ultime parole. Ma non è stato così. Una manifestazione silenziosa, è stata la risposta. Manifestazioni che si sono susseguite nel paese, costringendo il governo ad ammettere l’esistenza del problema e a impegnarsi ad affrontarlo. I responsabili sono stati arrestati e condannati.

Ma in India la violenza contro le donne continua. Come continua in Turchia e in Afghanistan.


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